L’impegno socio-politico attraverso la familiarità della ceramica. Intervista a ÙTOL

Nel corso di uno studio visit – casualmente durante l’Ottobre Rosa appena trascorso – siamo stati colpiti da un lavoro davvero bello, ma difficile nei termini in cui rischiava di essere banalmente retorico, ed invece assomma in sé forza e fragilità in un delicato equilibrio. Si tratta di una scultura in ceramica, quasi un ex voto: il ritratto plastico di una mastectomia.

Ùtol, BALANCE, 20x20x5cm, terraglia bianca, 2023.jpg

È un’opera assai poetica di ÙTOL, un duo di creatori che, con grande sensibilità umana e politica, affronta temi cruciali dell’esistenza e della società trasformandoli in oggetti di consumo quotidiano. Vettovaglie e gioielli in ceramica diventano gli strumenti di “normalizzazione” e naturalizzazione di questioni – il corpo, l’identità di genere, l’orientamento sessuale –  troppo spesso  trasformate in armi offensive attraverso un’azione di manipolazione o per travisamento. I loro lavori, quindi, denunciano il consumo dalla persona spostandolo sulle cose, evidenziando chiaramente il meccanismo di scardinamento che operano.

Abbiamo incontrato Flavio Rossi e David Romelli nel loro laboratorio romano.

Partiamo dal vostro nome. Ùtol è una parola ladina, di primo acchito sembrerebbe la scelta sembrerebbe una rivendicazione identitaria precisa. Ce ne volete parlare? Chi è Ùtol? Un duo, una entità unica?

ÙTOL nasce tra Roma e la Val di Fassa, proprio dalle mani di un romano, Flavio Rossi, e quelle di un trentino, David Romelli. Secondo il Dilf, il Dizionario italiano ladino fassano, la parola che abbiamo scelto per indicare il nostro lavoro si traduce in UTILE dall’agg. – ùtol {÷ oi, ÷ a, ÷ es}. 

Ci capita spesso di usare questa definizione per presentarci perché ci rappresenta sotto ogni punto di vista: ai fini materiali l’arte è completamente inutile, non soddisfa nessun bisogno primario dell’uomo e quello che noi facciamo praticamente nasce, sempre, con lo scopo di prendere parte alla vita quotidiana di chi acquisterà un nostro pezzo.

“Possiamo perdonare a un uomo l’aver fatto una cosa utile se non l’ammira.

L’unica scusa per aver fatto una cosa inutile è di ammirarla intensamente.

Tutta l’arte è completamente inutile” – scriveva provocatoriamente Oscar Wilde nella prefazione di quella che forse è la sua opera più celebre, e a noi questa dicotomia legata all’utilità dell’arte è sempre piaciuta. 

La scelta del nome è anche una chiara manifestazione del legame che sentiamo con la cultura, la storia e il territorio di origine di David, perché la natura e gli affetti sono punti focali nella nostra ricerca. Ùtol è il frutto di una coppia, di due figure professionali diverse, di due soci che a trent’anni hanno cambiato vita e hanno scelto di crearsi un lavoro ed esprimersi attraverso l’artigianato artistico.

Quello che trovo assai interessante nel vostro lavoro è che esprime chiaramente il suo contenuto di ricerca, il pensiero sociopolitico e un impegno civico attraverso la ceramica. Come definireste il vostro lavoro?

A latere delle premesse espresse sull’utilità o inutilità dell’arte, riteniamo che in questo momento storico l’arte, come pure l’artigianato artistico, non possa più permettersi di essere inutile; crediamo fortemente che entrambi debbano fare i conti con il quotidiano, con quello che ci accade ogni giorno portando la bellezza della forma, dei colori e della materia nella vita. Abbiamo scelto la ceramica come strumento espressivo perché ci permette di fare moltissime cose: dagli oggetti che servono in qualsiasi cucina, alle decorazioni “di servizio” per diversi ambienti come una casa, un ufficio o un ristorante fino a piccoli monili come spille unisex. 

Proprio questo connubio tra la dimensione di servizio e il messaggio sociopolitico e culturale attraverso una estetica piuttosto pulita, priva di virtuosismi decorativi, mi pare un aspetto su cui soffermarsi…

Con il marchio ÙTOL vogliamo trasmettere l’importanza culturale e le qualità estetiche degli oggetti in modo da affidargli uno scopo oltre alla semplice decorazione, e portare l’artigianato – e le storie che vi sono dietro – alla maggiore diffusione e fruizione possibile

Ogni progetto che sviluppiamo, anche se si tratta solo di una linea di tazze o di piatti, porta con sé un chiaro messaggio, niente di ermetico o sottinteso: il nostro lavoro è il nostro punto di vista su tematiche quali la violenza di genere, la difesa delle minoranze, della comunità LGBTQIA+ e il rispetto della diversità.

Forse educare con la ceramica è un progetto utopico, ma noi amiamo realizzare oggetti che parlano di quello in cui crediamo, che spiegano che l’identità e l’espressione di genere, la figura della donna nella società e i corpi vanno rispettati e naturalizzati, perché un capezzolo è solo una papilla cutanea e la censura di quello femminile è un atto discriminatorio e sessista. 

Utol, PRIDE, ceramica smaltata e decalcomania.12x6cm, 2023

Le porzioni di corpo sessuale e sessualizzate sono molto espresse nel vostro lavoro e questa idea di “naturalità” passa anche attraverso la trasformazione degli organi genitali o seni in servizi per la tavola. Non temete che trasformare quello che è di fatto il simbolo corporeo della donna possa in qualche modo condurre a un fraintendimento in soggetti ancora non liberi da condizionamenti patriarcali? Che i corpi possano essere intesi come pezzi manipolabili ad uso e consumo altrui? 

Sarò perché sono una donna, ma ho l’impressione che questo rischio non si corra quando riproducete l’organo maschile, sminuendo chiaramente la cultura machista e fallocentrica…. 

In effetti quando abbiamo iniziato a produrre porzioni di corpo abbiamo ragionato sul fatto che potessero essere fraintesi, ma nelle riproduzioni di ispirazione anatomica abbiamo sempre incluso una certa nota ironica, che finora è stata colta. Per scelta di materiali, forme e colori, la serie non può che risultare divertente, a volte simpaticamente imbarazzante. In più gli organi maschili e femminili sono trattati allo stesso modo, come due parti anatomiche che creano imbarazzo, ma che solleticano pure una curiosità innocente perché rappresentati senza malizia. 

Riteniamo che chiunque si imbatta per la prima volta in un nostro pezzo, con un rapido sguardo agli altri non possa che capire le intenzioni che vi sono dietro, evitando quindi di cadere nella trappola del fraintendimento. In questi anni abbiamo rappresentato l’organo genitale maschile sotto forma di piccoli oggetti, come i cucchiaini che chiamiamo caxxi amari, proprio per sminuire una visione fallocentrica della quale sono spesso vittime gli stessi uomini. Anche noi sentiamo la pressione della cultura maschilista in cui siamo involontariamente cresciuti, siamo vittime e carnefici di un linguaggio che vogliamo modificare in quanto uomini e gay, in un periodo storico cui si fatica ancora a pensare diversamente.

I falli che realizziamo hanno ispirazione pompeiana e hanno mero valore apotropaico, si rifanno ad una cultura che cerchiamo di allontanare dalla quotidianità e che non rappresenta né noi né il nostro lavoro; siamo più vicini a un pubblico femminile, un gusto queer, l’amore in tutte le sue forme. Col nostro lavoro diamo corpo alla libertà di espressione che difende il nostro pensiero, ma siamo sempre pronti al dialogo con chi volesse confrontarsi su interpretazioni che non avevamo nemmeno immaginato.

Utol,Gli Antonini 5x5x10cm, cerami ca smaltata e decalcomania,2023

Tornando al tema della decorazione, direi proprio che è quasi assente, in quanto – a parte alcuni casi – i segni sui vostri pezzi sono elementi costitutivi, fondanti. Pensiamo, ad esempio, ai lavori sul linguaggio “politicamente scorretto” espresso attraverso i segni della fonetica…. Ce ne volete parlare?

Il progetto che vede le parole come decorazione è nato quest’anno in occasione del Pigneto Pride, una delle iniziative che proponiamo – in maniera un po’ provocatoria – nel quartiere in cui lavoriamo. Volevamo appropriarci degli insulti con cui ci hanno bullizzato nel corso degli anni e che troppo spesso fanno parte del linguaggio comune. In questo caso però ci siamo davvero fatti uno scrupolo; non essendo in grado di capire cosa possano significare per una donna gli insulti t***a o p*****a abbiamo scelto di raccontare ciò di cui possiamo parlare in prima persona. La paura di sbagliare approccio si è rafforzata nel confronto con molte donne che, infatti, ci hanno consigliato di ristringere il campo al nostro vissuto proprio perché, come dicevi tu, il nostro intento poteva essere frainteso.

Dal momento che lo sviluppo cognitivo è influenzato dalla lingua che si impara a parlare da bambini, abbiamo scelto l’insulto “tipico”, f****o, per decostruire questo linguaggio maschilistico affinché ci si pensi due volte prima di dire a un bambino di non “piangere come una femminuccia” o a una donna “che ha le palle”, se ha agito con coraggio. Questo modo di esprimersi determina il modo di pensare tanto quanto l’ambiente culturale e sociale in cui cresciamo, quindi la normalizzazione di un linguaggio d’odio e sessuofobico condiziona la nostra visione del mondo.

Ùtol, ex voto

Il nostro obiettivo è quello di esorcizzare questo stigma attraverso una sovversione del significato dell’insulto, e la fonetica ci è sembrata la forma migliore per rappresentare questo sforzo. Parliamo di sforzo perché spesso è risultato difficile anche per noi usare un linguaggio inclusivo e non offensivo, ma solo per una questione di abitudine: tante parole di uso comune si portano dietro un sistema di valori estremamente patriarcale che non condividiamo, quindi dobbiamo sforzarci di evitarle. L’uso dei fonemi estrinseca bene questo impegno, perché ogni suono si esprime graficamente in maniera singola e così aggraziata che il risultato finale della parola stride col suo significato. 

La fonetica è quasi un disegno, una decorazione che va decifrata e analizzata, proprio come il linguaggio che usiamo in maniera inconscia. Se vedendo o usando le nostre ceramiche per mangiare o bere qualcuno si soffermerà a pensare prima di parlare, allora avremo davvero raggiunto il nostro obiettivo!

Ùtol ceramica:

David Romelli, nato a Canazei, giovanissimo si trasferisce a Roma per lavorare nella moda iniziando così una ricerca stilistica che ha caratterizzato tutte le successive scelte professionali. Chef per più di 10 anni, è poi approdato all’arte e all’artigianato col progetto Ùtol. Come responsabile di produzione imprime la sua visione della vita in ogni progetto.

Flavio Rossi nasce a Roma e, nonostante la formazione artistica e le numerose esperienze lavorative nel settore,  proprio grazie all’incontro con David Romelli inizia un proprio percorso artistico come cofondatore di Ùtol. Da allora vive e lavora tra la Val di Fassa e la Capitale, creando a quattro mani oggetti a metà tra l’arte e l’artigianato. 

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