Il demitismo senza De Mita. Riflessioni satiriche sulla campagna per le elezioni amministrative di Lioni (II parte)

Dunque, mi pare che dietro il dualismo insito nell’accesa disputa elettorale si possa afferrare l’inesauribile volontà di conservazione del potere da parte di chi per decenni ha tratto vantaggi dai contrasti interni agli schieramenti politici, a Lioni come altrove, cioè l’Uomo del monte. Questa strategia si riassume così:”divide et impera”. Trattando seriamente il tema, una cosa è certa: a Lioni dobbiamo rassegnarci all’assenza di un’autentica forza di alternativa al sistema di potere vigente. A Lioni manca da tempo un’opposizione seria, per cui si registra un disavanzo di democrazia, di trasparenza e vigilanza sociale che rischia di favorire l’arbitrio di chi detiene le redini della Pubblica Amministrazione.

Al di là dei singoli episodi l’analisi della situazione locale si può sintetizzare nel modo seguente: la differenza tra il contesto odierno e il passato consiste nell’assenza di un soggetto di opposizione sociale e politica. Oggi il dissenso non riesce a manifestarsi e stenta a tradursi in una alternativa credibile, in un progetto di trasformazione concreta dell’assetto politico e sociale lionese. Aggiungo che la mancanza di diritti e tutele a beneficio di chi non dispone di solide amicizie politiche, non riguarda solo la realtà di Lioni. Anche in tempi passati, a Lioni come altrove, se una persona non poteva affidarsi al ”santo in paradiso”, in quanto non aveva agganci con il notabile di turno che deteneva l’esercizio del potere, non contava assolutamente nulla.

Per quanto attiene all’orientamento da seguire rispetto alle circostanze date, non ci sono dubbi: o si accettano abusi e prepotenze, adeguandosi all’andazzo generale e comportandosi in modo vile e conformista, o si inizia ad agire in termini incisivi, provando ad organizzare pratiche di lotta e resistenza civile con tutti quelli che si dichiarano propensi ad un’azione antagonista e ad una mobilitazione collettiva per contrastare l’arbitrio vigente. Sono da evitare le iniziative isolate per non rischiare di subire la classica fine di Don Chisciotte che pretendeva di battersi contro i mulini a vento. In particolare mi rivolgo alle generazioni che in passato hanno subito il ricatto clientelare, la logica per la quale è inevitabile piegarsi alle richieste di voto del candidato di turno per ottenere un posto di lavoro o altri favori elargiti secondo metodi dispotici e feudali applicati tuttora per tenere sotto controllo le popolazioni locali. Non c’è dubbio che tale logica ricattatoria sia accettata anche da chi coltiva aspirazioni politiche (del resto legittime) come la riconferma elettorale dell’incarico di sindaco. In politica chi è realmente democratico non si giudica nei momenti di consenso, ma nei momenti di dissenso. E’ facile proclamarsi “democratici” senza sostenere alcun contraddittorio, circondandosi di falsi adulatori che non sanno svolgere un ruolo critico. Il modo in cui si affronta la contestazione è la prova del nove per un vero democratico.

Potrei soffermarmi sulla portata storica e culturale del demitismo e sulle responsabilità del sistema politico rispetto al mancato sviluppo economico delle nostre zone, rispetto al miraggio dell’industrializzazione, rispetto alla disoccupazione diffusa tra i giovani, costretti ad una nuova emigrazione, rispetto allo spopolamento e al degrado delle nostre comunità. Certo, non tutti i mali sono imputabili al signore di Nusco, tuttavia esistono verità che nessuno può smentire se non in mala fede. De Mita è stato il massimo vertice istituzionale di una classe dirigente locale e nazionale che ha dominato la fase della ricostruzione post-sismica, la cui gestione è stata quantomeno discutibile nei metodi e nei fini. De Mita è tuttora in auge ed ha perpetuato il suo potere a livello locale. In Irpinia, il vero problema non è tanto la destra berlusconiana, quanto il centro demitiano. Si pensi ai guasti arrecati da un sistema imperniato sul cinismo di logiche affaristiche, clientelari e paternalistiche riconducibili alla ”scuola” di Nusco, che ha istruito diversi allievi che hanno superato il loro maestro. Senza fare nomi, questi epigoni, veri campioni del demitismo senza De Mita, sono presenti in modo trasversale.

Il potere fa leva su un atavico senso di ”fatalismo” che è il peggior nemico della gente in quanto è indotta a pensare che tutto sia deciso da un destino superiore. In materia di fatalismo e di apatia politica ricordo che Brecht scriveva che l’analfabeta politico “non sa che il costo della vita, (…) dell’affitto, delle scarpe e delle medicine dipendono dalle decisioni politiche. L’analfabeta politico è talmente asino che si inorgoglisce, petto in fuori, nel dire che odia la politica. Non sa, l’imbecille, che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta, il minore abbandonato, il rapinatore e il peggiore di tutti i banditi, che è il politico disonesto, leccapiedi delle imprese nazionali e multinazionali”. In buona sostanza, se ce ne freghiamo della politica, questa ci frega. Insistendo sul tema, concordo con Gaber sull’idea di libertà come partecipazione politica. Io stesso propugno la massima espressione di democrazia partecipativa, ma ho sempre incontrato enormi difficoltà a praticare questo ideale nell’ambiente in cui vivo. Aggiungo che molto dipende dalle forme e dalle occasioni di partecipazione messe a disposizione dal quadro oggettivo e dalle azioni soggettive possibili. Occorre prendere atto che la realtà politica e sociale di Lioni è oggi profondamente mutata. Non esistono solidi punti di riferimento politico, per cui ognuno partecipa nel modo più compatibile con le condizioni oggettive, con la propria volontà e le potenzialità intellettuali, insomma nel modo più consono alle proprie attitudini individuali, in base alle variabili presenti nel tempo e nello spazio.

Il sottoscritto, ad esempio, partecipa ricorrendo alla parola scritta poiché è l’unica arma di cui dispone. Ma non sempre la parola riesce ad essere“vendicativa”, mordendo il sistema dove è più vulnerabile, denunciando e deridendo la meschinità del potere. La satira è l’arma più efficace per sferzare il potere, metterlo alla berlina denudando i suoi vizi, i suoi limiti e le sue contraddizioni, ridicolizzando la sua superbia. La satira è anche un modo appassionato e partigiano di interpretare la politica e la vita. Più la satira è beffarda e caustica più diventa efficace per combattere e mettere alla gogna il potere. Quanto più il potere si mostra arrogante e volgare, tanto più risulta ridicolo grazie alla forza corrosiva della satira. La satira è diretta e dissacratoria, perciò si addice nel caso in cui bisogna mettere alla berlina l’ideologia più perversa e volgare, quella del denaro.

Chiudo con una provocazione finale. Affarismo, assistenzialismo, clientelismo, parassitismo, sono l’essenza di un sistema politico criminogeno che incoraggia comportamenti disonesti, seminando il germe dell’illegalità. Esempi di questo potere sono il berlusconismo e il demitismo. L’aspetto più inquietante è che tali sistemi possono esistere indipendentemente dai loro iniziatori, sopravvivendo grazie a discepoli in grado di scalzare i “maestri”. Francamente temo molto di più il demitismo senza De Mita (II-fine).

 

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