Rogo Thyssen: non fu omicidio doloso, la sentenza finale

ROMA – Omicidio colposo e non doloso per il rogo nello stabilimento della Thyssenkrupp di Torino nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007.

Condanne confermate, quindi, nei confronti degli imputati per la “grandissima sconsideratezza”, così definita dal PG di Cassazione, che costò la vita a sette operai. Se la Cassazione accogliesse la richiesta della pubblica accusa, dovrebbero essere convalidate le pene di 10 anni per l’ex ad Herald Espenhnam, di 8 anni e 6 mesi per il responsabile dello stabilimento Raffaele Salerno, 9 anni all’allora dirigente con funzioni direttive Daniele Moroni e 7 anni a Gerald Priegnitz e Marco Pucci membri del Comitato esecutivo. Il Procuratore Generale, Carlo Destro, ha rivelato che i manager e i dirigenti sopraccitati facevano affidamento sulla capacità dei loro operai di bloccare gli incendi che quasi giornalmente si verificavano; tuttavia ammette il PG che c’è stata molta superficialità nello gestire lo stabilimento di Torino, dove si è voluto continuare a produrre senza attuare norme di sicurezza adeguate, risparmiando quanto più denaro possibile, in vista dello smantellamento dell’impianto che sarebbe dovuto avvenire nel febbraio 2008, circa due mesi dopo il tragico rogo. La sentenza definitiva è prevista per le ore 18 di oggi e in caso di conferma delle condanne, gli imputati italiani saranno pronti a costituirsi in base ad accordi già presi con la Procura di Torino, mentre per i due tedeschi sarà necessario chiedere l’estradizione. Circa un anno fa il 28 febbraio 2013 la Corte d’Appello ridimensionò le condanne: la tragedia non fu più giudicata un omicidio, ma un incidente; incidente gravissimo però, tanto da meritare le più alte condanne mai inflitte per un infortunio sul lavoro; Espenhnam inizialmente aveva avuto 16 anni e 6 mesi di pena. Oggi la vicenda della Thyssenkrupp arriverà al suo epilogo, probabilmente in serata. I familiari delle vittime, fuori dal tribunale, attendono la decisione dei giudici della Suprema Corte e come loro anche i condannati in appello. Queste le parole di Salerno: “Spero di trovare dei giudici che valutino i fatti nella loro realtà. L’appello non ha cambiato nulla per me. Cosa cambia se invece di 13 gli anni di condanna sono 8? A sessant’anni se vado in carcere dopo una settimana sono morto. In realtà io sono già morto da sette anni. Ho capito che se ti comporti onestamente in questo paese finisci male. Io, l’azienda, siamo stati i capri espiatori per tutti gli incidenti sul lavoro accaduti in Italia e passati sempre sotto silenzio”.

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