TERAMO – Parole durissime contro Salvatore Parolisi, in carcere accusato dell’omicidio di sua moglie Melania Rea, il giallo più sorprendente di questa estate. Le ha scritte in 185 pagine di ordinanza, che conferma le accuse del pubblico ministro, il giudice per le indagini preliminari di Teramo Giovanni Cirillo. Ma c’è una clamorosa novità nelle sue parole: il magistrato ipotizza che il movente di quell’efferato delitto possa essere diverso da quello passionale fino ad ora ipotizzato.
Secondo il Gip «può essere ipotizzato che la moglie avesse scoperto qualcosa di assai più grave del tradimento, o anche solo di torbido. Occorrerebbe approfondire i rapporti interni alla caserma, gli eventuali giri di droga, le altre relazioni extraconiugali». Che cosa è impossibile saperlo con certezza ma l’ordinanza ipotizza giri di droga, abusi sessuali o altro. Melania, che seguiva oramai spesso il marito per scoprirne le infedeltà, potrebbe aver scoperto una “verità indicibile” e per questo era diventata pericolosa, tanto da indurre Parolisi a progettarne l’omicidio. Addirittura, secondo il magistrato, la pista passionale non troverebbe alcun fondamento: «Di fatto la situazione nella quale versava, pareva andargli benissimo. Famiglia e distrazione. Pazienza se a Ludovica tutto ciò non andava bene. Se ne sarebbe fatta una ragione. Lui l’avrebbe convinta ogni volta a non andarsene» sostiene l’ordinanza.
Ragioni indicibili e un movente inconfessabile spiegherebbero, d’altronde, anche la crudeltà con cui l’assassino ha infierito sul corpo della donna, anche dopo la morte. Melania poteva aver messo in pericolo determinati equilibri dentro la caserma di Ascoli Piceno. Il Gip fa affidamento su una testimonianza considerata fondamentale, quella della migliore amica di Melania, Rosa Immacolata, che poco prima della sua morte vide la povera giovane nervosa, «fumava accanitamente» e le confidò «di avere qualcosa di molto brutto da confidarle ma non ne ebbe il tempo».
Ora tutte le indagini ruotano intorno a questo mistero, su ciò che effettivamente avrebbe potuto scoprire Melania Rea circa la doppia vita di suo marito. Gli inquirenti hanno il fondato motivo di ritenere che le ragioni del delitto vadano ricercate proprio nella caserma dove Parolisi prestava servizio come istruttore. Di indizi diretti ce ne sono. In una telefonata di Paroli alla sorella, compiuta ad un mese dalla morte della moglie, il caporale dice: «Può darsi che mi danno una punizione, a livello disciplinare mi puniscono, non so in base al loro giudizio oppure perché la cosa è troppo grossa chiudono un occhio…». il prosieguo del dialogo è molto inquietante. La sorella cerca invano di rassicurarlo, lui continua: «Ma sai quante cose escono in mezzo. Hai capito, tu non guardare solo a dire ora non è uscito nulla. Io non so quello che è stato raccontato dai ragazzi lì dentro. Non pensare che ero l’unico ad avere qualche contatto così…». E qui arriva un passaggio tutto da decifrare. Franca: «Ora esce tutto fuori». Salvatore: «Sì, ora esce fuori pure qualche altro…». Franca: «Qualche altro cliente…». Salvatore: «Eh … capito, pure per dire tutte quelle cose brutte, no…». E quando la sorella gli consiglia: «Tu devi dire che purtroppo non è stata colpa mia», il caporalmaggiore pronuncia la frase più oscura di tutta l’intercettazione, la più inquietante: «Mi dispiace che ci ha rimesso Melania…».
Addirittura sarcastica la reazione della difesa di Parolisi su questa “svolta” nelle accuse formulate contro il proprio assistito. Secondo i legali Nicodemo Gentile e Valter Biscotti la nuova accusa si smonterebbe da sola. «In solo 15 giorni – affermano – il movente passionale cardine dell’inchiesta si sgretola così come già immaginato e pubblicamente argomentato da questa difesa. Il gip di Teramo, infatti, boccia clamorosamente il cuore dell’indagine di Ascoli, decretandone il definitivo naufragio». I legali evidenziano, comunque, che «neanche lo sforzo del giudice di Teramo è però riuscito a colmare il grave vulnus intorno al movente, rifugiandosi ancora in mere ipotesi, congetture arbitrarie prive di qualsiasi aderenza agli atti e ai fatti dell’indagine».