Divorzio. Tempi più rapidi, ma è necessaria una integrale riforma del diritto di famiglia

 

ROMA – La recente approvazione da parte della Commissione Giustizia della Camera di una proposta di modifica dell’attuale normativa sul divorzio proponendone la riduzione dei tempi processuali apre una più approfondita indagine sul concetto di famiglie. Famiglia e diritto sembrano evocare due mondi inconciliabili.

L’una rimanda ai sentimenti primitivi degli esseri umani, in grado di condizionarne l’esistenza; l’altro rappresenta lo spazio delle regole del vivere comune e, dunque, a differenza della prima, ispirato ai principi di generalità ed astrattezza. Queste due realtà devono trovare punti di convergenza nell’universo giuridico che regola e determina il modo attraverso il quale gli affetti devono svolgersi. Sarebbe ed è sbagliato oggi collocare tale dibattito nel solco delle divergenze tra il mondo cattolico e non. La famiglia, oggi più che mai è quell’aggregato di persone che, al di là dei vincoli di sangue, per loro natura indissolubili, fa unire soggetti in nome di un sentimento supremo che è l’amore per l’altro o l’altra. Il primo dicembre 1970 il divorzio veniva introdotto nell’ordinamento giuridico italiano mediante l’approvazione della legge n. 898 “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, (cosiddetta legge Fortuna-Baslini ). Il contenuto della stessa risente dei profondi contrasti politici e da una spaccatura sociale marcata, tanto che solo il 12 maggio 1974 gli italiani vengono chiamati a decidere tramite Referendum sulla sua abrogazione: partecipò al voto l’87,7% degli aventi diritto, votarono no il 59,3%, mentre i sì furono il 40,7%: la legge sul divorzio rimaneva in vigore.


La legislazione sottostante all’introduzione del divorzio, aveva come riferimento il libro primo del codice civile del 1942 il quale concepiva una famiglia improntata sulla subordinazione della moglie al marito nei rapporti personali e in quelli patrimoniali, e fondata sulla discriminazione dei figli nati fuori dal matrimonio, denominati figli naturali, ai quali era riservato un trattamento deteriore rispetto ai figli legittimi.
Fu solamente con l’emanazione della legge sul diritto di famiglia nel 1975 (Legge 19 maggio 1975, n. 151) che si introdussero importanti modifiche al  primo libro del codice civile. Con questa importante riforma si riconosceva la parità giuridica dei coniugi, si abrogava  l’istituto della dote, la comunione dei beni diventava il regime patrimoniale legale della famiglia (in mancanza di diversa convenzione), la patria potestà venne sostituita dalla potestà di entrambi i genitori. La Costituzione, d’altro canto, nei tre articoli dedicati alla famiglia, artt. 29, 30 e 31, rappresentava il nuovo limite entro il quale concepire ogni tipologia di relazione tra gli esseri umani. Ciò anche alla luce del fatto che la società stava subendo radicali trasformazioni che da un lato gettavano i semi per rompere la netta separazione dei ruoli tra uomo e donna e dall’altra facevano emergere nuove necessità, anche di tipo organizzativo che necessariamente si riversavano sul modo di vivere. Ed infatti, alla fine degli anni ’70 e soprattutto degli anni ’80 maturano le condizioni per ripensare alcune procedure della legge sul divorzio. Con la legge 74/1987 si accorciarono i tempi per giungere alla sentenza definitiva di divorzio conferendo al giudice la facoltà di pronunciarsi sullo status delle persone in maniera anticipata rispetto al trattamento delle questioni economiche o di affidamento dei figli.
La normativa attuale prevede che presupposto per il divorzio è che la separazione tra i coniugi si sia protratta, ininterrottamente per almeno tre anni dalla decisione del  presidente del Tribunale nel procedimento di separazione. La legge sul divorzio dovrebbe affermare in modo pieno il diritto individuale a scegliere con chi e in che modo vivere la propria esistenza. 

Il divorzio breve, che sarà discusso in aula, rende possibile, in presenza di consensualità la possibilità di porre fine al matrimonio entro un anno dal deposito del ricorso separazione, contro gli attuali tre anni, limitando costose e logoranti lungaggini. Il termine è di nove mesi laddove non ci siano figli minori e vi sia la consensualità delle parti. 

Il passo in avanti è notevole, ma attendiamo una integrale riforma del diritto di famiglia alla luce delle sempre più emergenti esigenze.

Il divorzio breve. L’opinione degli italiani

La recente approvazione da parte della Commissione Giustizia della Camera di una proposta di modifica dell’attuale normativa sul divorzio, proponendone la riduzione dei tempi processuali, apre ad una più approfondita riflessione sul concetto di famiglie. «Famiglia e diritto sembrano evocare due mondi inconciliabili. L’una rimanda ai sentimenti primitivi degli esseri umani, in grado di condizionarne l’esistenza; l’altro rappresenta lo spazio delle regole del vivere  comune e, dunque, a differenza della prima, ispirato ai princìpi di generalità e astrattezza» afferma l’avv. Andrea Catizone, Direttrice dell’Osservatorio sulle Famiglie dell’Eurispes. Queste due realtà devono trovare punti di convergenza nell’universo giuridico che regolamenta e determina il modo attraverso il quale gli affetti devono svolgersi. «Sarebbe ed è sbagliato collocare oggi tale dibattito nel solco delle divergenze tra il mondo cattolico e non. La famiglia, oggi più che mai è quell’aggregato di persone che, al di là dei vincoli di sangue, per loro natura indissolubili, fa unire soggetti in nome di un sentimento supremo che è l’amore per l’altro o l’altra».

La normativa attuale prevede, quale presupposto per il divorzio, che la separazione tra i coniugi si sia protratta, ininterrottamente per almeno tre anni dalla decisione del Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione.

La legge sul divorzio dovrebbe affermare in modo pieno il diritto individuale a scegliere con chi e in che modo vivere la propria esistenza.

L’interruzione di un rapporto di coppia attraverso il divorzio breve – che in meno di un anno, in applicazione delle norme comunitarie, rende possibile la fine di un matrimonio – è uno dei temi che hanno assunto rilevanza nel dibattito pubblico.

Chiamati ad esprimersi sull’introduzione di una norma di questo tipo, gli italiani si dichiarano favorevoli nella larghissima maggioranza dei casi. Secondo la rilevazione dell’Eurispes (2014) si tratta di circa otto italiani su dieci (84%). Ad essere contrario è invece il 15%, le cui remore sono probabilmente ascrivibili al credere profondamente nell’indissolubilità del vincolo matrimoniale e al ritenere che abbassando le “barriere all’uscita” del legame che regola la vita di una coppia sposata si possa portare le persone ad affrontare con più leggerezza questo passo.

Si tratta di un orientamento stabile e ben radicato presso l’opinione pubblica come confermano i dati rilevati negli ultimi tre anni: se i favorevoli al divorzio breve in assenza di prole erano l’82,2% nel 2012, sono passati all’86,3%, nel 2013 per attestarsi all’attuale 84%.

Introduzione del divorzio breve

Serie storica

2012

2013

2014

Favorevole

82,2

86,3

84,0

Contrario

15,8

13,7

15,0

Fonte: Eurispes 2014

 

Introduzione del divorzio breve

Fasce d’età

18-24

25-34

35-44

45-64

65>

Favorevole

86,1

83,1

90,2

88,1

70,0

Contrario

13,9

16,9

8,5

11,2

27,7

Fonte: Eurispes 2014

 
                     

Introduzione del divorzio breve

Titolo di studio

Nessuno/

licenza elementare

Licenza media

Diploma di maturità

Laurea/

master

Favorevole

63,6

80,9

86,6

85,9

Contrario

33,3

17,1

12,8

13,5

Fonte: Eurispes 2014

 
           

Introduzione del divorzio breve

Area politica

Sinistra

Centro-sinistra

Centro

Centro-destra

Destra

Nessuna

Favorevole

84,6

89,9

77,2

89,8

82,1

79,0

Contrario

12,5

8,9

22,8

10,2

16,4

20,2

Fonte: Eurispes 2014

 
               

Introduzione del divorzio breve

Stato civile

Nubile/celibe

Sposato/a

Convivente

Vedovo/a

Separato/a-Divorziato/a

 

Favorevole

85,4

82,4

92,2

65,5

90,4

 

Contrario

13,9

16,1

7,8

32,8

9,6

 

Fonte: Eurispes 2014

 
               

Il divorzio breve renderebbe quindi possibile, in presenza di consensualità e in assenza di figli, la possibilità di porre fine al matrimonio entro un anno dalla separazione, limitando costose e logoranti lungaggini.  Basti pensare che l’Eurispes ha stimato in  circa 50 milioni di euro annui i costi che il sistema giudiziario, e quindi, lo Stato deve sostenere per separazioni e divorzi, con un costo medio di 815 euro a procedimento.

A questo importo va aggiunta la perdita di retribuzione dei due coniugi che devono assentarsi dal lavoro sia per incontrare i propri legali che per presentarsi alle udienze: una cifra che arriva a circa 2.400 euro a coppia. La maggior parte dei procedimenti inoltre è assistito da due legali che le parti devono pagare di tasca propria: le spese per l’assistenza legale vanno da 3.000 euro (per una separazione consensuale) a 13.000 (ad esempio per una causa di divorzio).

Chiaramente il divorzio breve non eliminerà questi oneri, ma sicuramente potrà contribuire a calmierarli, sia per quanto riguarda quelli sostenuti dagli ex coniugi sia per quelli di cui deve farsi carico lo Stato.

 

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