ROMA – Con la vittoria del sì (evet) nel referendum turco, si riscrive un’altra pagina di storia. Una storia che, ultimamente, sta prendendo sempre di più un’inclinazione pericolosa, dai risvolti cupi oltre che bellicosi.
Bisognerà, certamente, aspettare e vedere come finiranno le osservazioni mosse dalle opposizioni politiche turche e dagli osservatori dell’OSCE (ricordiamo che la Turchia è Paese aderente all’Organizzazione insieme ad altri 56 Stati) in merito ai sospetti di brogli elettorali per i voti espressi in seno al referendum, dove ci sono in ballo da 1,5 a 2,5 milioni di schede da verificare. Intanto, di fatto, il Presidente Erdogan ha vinto la sua battaglia e si ritrova come un super eroe, con i “super-poteri”.
Poteri aggiuntivi che gli consentono di gestire un Paese con margini più ampi rispetto a prima. Con il nuovo sistema di tipo presidenziale, Erdogan avrà infatti maggiori poteri sulla Corte Costituzionale potendo nominare 12 giudici su 15; maggiore potere sul parlamento (potrà sciogliere il parlamento, emanare decreti, dichiarare lo stato d’emergenza); potrà, inoltre, nominare ministri e alti funzionari. Al di là di questi nuovi cambiamenti, se ne potrebbe presentare un altro un po’ più inquietante: l’intenzione di Erdogan di reintrodurre la pena di morte in Turchia, che sarà oggetto di discussione nei prossimi giorni con gli altri leader politici e che potrebbe diventare tema di un nuovo referendum.
Se a questi nuovi scenari turchi aggiungiamo anche la delicata quanto “esplosiva” questione orientale legata al braccio di ferro tra Pyonyang e Washington, con lo sguardo attento ed interessato di Mosca, con la Cina alla finestra, oltre alla polveriera Siria, allora si capisce come lo scenario internazionale stia attraversando una fase davvero precaria.
A gettare benzina sul fuoco, ci pensa l’ambasciatore nordcoreano all’Onu, Kim In Ryong che, dopo l’escalation dei giorni scorsi, ha rilasciato dichiarazioni non confortanti affermando che “una guerra nucleare potrebbe scoppiare da un momento all’altro nella penisola coreana”.
Per fortuna che, questa volta, Trump ha utilizzato toni più soft auspicando di risolvere la questione nordcoreana “pacificamente”. Ma le provocazioni di Pyonyang stanno facendo vacillare la pazienza degli Stati Uniti e non sappiamo ancora per quanto tempo Trump sarà in grado di reggere e gestire questa giostra pericolosa.