Consumo suolo pubblico. Serve una politica che garantisca gli interesse di tutti

ROMA – “Serve una politica industriale della filiera delle costruzioni in grado di dare un forte segno di discontinuità , mettendo una volta per tutte la parola fine ad una edilizia caratterizzata dal saccheggio del territorio, dalla cementificazione selvaggia, dal consumo del suolo.

In gioco non c’è il futuro del lavoro di questo settore ma anche il futuro del nostro territorio. Una discontinuità  produttiva che non può fare a meno di una discontinuità  nel governo della cosa pubblica da parte dell’intera filiera istituzionale – dal governo agli enti locali – che ha la responsabilità  di non aver posto fino ad oggi un limite alla cementificazione, ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti, soprattutto quando si contano i danni catastrofici prodotti da una pioggia abbondante o da un terremoto di media entità , amplificati e trasformati in immani tragedie proprio dalla fragilità  del territorio figlia di quella visione devastatrice.” Con questa riflessione Salvatore Lo Balbo, segretario nazionale Fillea Cgil, ha aperto i lavori del convegno “Per una politica industriale delle costruzioni nelle aree urbane: consumo di suolo zero, pieno utilizzo del suolo impermeabilizzato, rigenerazione dei centri storici”, svoltosi stamane in corso d’Italia e che rappresenta una delle tappe principali di approfondimento del percorso di avvicinamento al congresso degli edili Cgil, previsto nella prossima primavera a Roma.  Una tappa di approfondimento, proposta e confronto con la confederazione, studiosi ed alcuni interlocutori istituzionali di città  metropolitane, tra cui il segretario nazionale Cgil Danilo Barbi, l’urbanista Paolo Berdini, gli assessori all’urbanistica del Comune di Roma, Milano, Venezia e Bari: Giovanni Caudo, Ada Lucia De Cesaris, Andrea Ferrazzi, Raffaele Sannicandro, con le conclusioni del segretario generale Fillea Walter Schiavella, che con il Congresso del 2010 aveva lanciato il tema della “rivoluzione sostenibile” del sistema delle costruzioni dalla città  simbolo della devastazione e di quello che rimarrà  nella storia come il terremoto della “cricca”, L’Aquila.

 

Dalla Fillea la proposta di “una KYOTO per il consumo di suolo” ha detto Salvatore Lo Balbo, perché “è urgente che il Parlamento europeo ufficializzi i contenuti degli “Orientamenti della Commissione Europea in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo” e l’apprezzamento per “il ddl presentato due settimane fa da trentacinque parlamentari appartenenti a tutti i gruppi, promosso dai ricercatori dell’Associazione Italiana Società  Scientifiche Agrarie” e per il lavoro che sta svolgendo il gruppo di lavoro insediato dal ministro dell’Ambiente” entrambi orientati “alla richiesta che noi, insieme a tante altre organizzazioni della società  civile, sosteniamo da tempo, cioè di agire nella direzione del consumo di suolo zero.” Per andare nella direzione della de-cementificazione , per Lo Balbo occorre attivare azioni coerenti con le “definizioni presenti negli Orientamenti della Commissione Europea, traducendole in disegni di legge nazionali e regionali” impedendo  il rischio sempre latente di “una nuova colata di cemento e di un ingrossarsi dei portafogli di speculatori e mafiosi. “ Contrastare il consumo di suolo e la sua impermeabilizzazione, dunque  “intervenendo per bloccare la conversione a cemento di ulteriori aree verdi e per mitigare gli effetti delle conversioni già  in atto, recuperando e migliorando le funzioni del suolo e quindi evitando gli impatti deleteri dell’impermeabilizzazione.” Obiettivo della Fillea “in Italia entro il 2020 si può e si deve ridurre il consumo di suolo di almeno il 50%” ha aggiunto il segretario nazionale “un obiettivo che si può raggiungere solo se il livello nazionale (governo) ed il livello locale (gli enti locali) agiranno con coerenza e responsabilità .” “Pieno utilizzo delle aree impermeabilizzate, massimo utilizzo del patrimonio pubblico abitativo e non abitativo, determinazione di processi di de-cementificazione urbana e territoriale, massima espansione delle infrastrutture esistenti dedicate alla mobilità  collettiva urbana, sub-urbana e extra-urbana, rigenerazione dei centri storici e riqualificazione delle periferie” queste le proposte della Fillea, che chiede di rinnovare le città  “attraverso regole semplici, condivise ed efficaci che non permettano il perpetuarsi della logica speculativa che ha trionfato in questi anni” guardando anche a ciò che accade nell’Europa del nord, dove “ai comuni vengono riconosciuti adeguati finanziamenti per rendere concreti gli interventi di rinnovo urbano finalizzati alla valorizzazione degli interessi pubblici.

Da noi, fino ad oggi, si è operato al contrario, tagliando il i trasferimenti alle autonomie locali per contenere il deficit pubblico “ed il governo sta per vendere molte proprietà  pubbliche che invece sarebbero decisive per definire il futuro di molte città . Ma le dismissioni dovrebbero essere un vantaggio per il pubblico sia in termini economici – ed in tempo di crisi l’affare è solo di chi compra – sia perché dovrebbero farsi garantendo la valorizzazione sociale del patrimonio edilizio e degli spazi urbani. Ma così non è” prosegue Lo Balbo “come dimostrato dalla “drammatica situazione del patrimonio ex-IACP e dalla necessità  di praticare un rilancio dell’edilizia pubblica economica popolare che favorisca un’offerta di abitazioni per una platea di cittadini sostanzialmente a basso reddito.” Per questo dalla Fillea la proposta di un patto con le istituzioni locali, in particolare quelle delle aree metropolitane, per “realizzare una contrattazione territoriale che definisca i comuni impegni e per alzare l’asticella delle regole del governo del territorio “passando dall’azione individuale delle singole amministrazioni a una “azione collettiva praticata da amministrazioni pubbliche che fanno parte di un movimento che riaffermi gli interessi pubblici collettivi contro gli interessi privati di pochi.”

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