Speciale Viaggi. Incontri oltre la soglia del pregiudizio. Parte 2

Il sole è  già alto nel cielo quando arrivo davanti al cancello d’ingresso della “Noon Public High School” nella fertile Suru valley. Siamo nel distretto di Kargil, una striscia di terra verde incuneata tra montagne maestose e attraversata da un gorgogliante affluente dell’Indo.

Tutto è  armonia e semplicità qui. Casupole sparse formano qua e là piccoli villaggi rurali immersi nel verde tra i fianchi bruni dei pendii himalayani.

Voglio entrare dentro, voglio vedere come funziona e che cosa significhi fare scuola scuola in una delle zone più isolate dell’India, che nei mesi estivi mostra il suo volto più dolce e d’inverno si addormenta per lunghi mesi sotto una spessa coperta di neve. La Suru valley è in territorio a maggioranza islamica, un’orgogliosa enclave musulmana nel diffuso panorama buddista della regione. E l’ombra del pregiudizio, annidato in un inconscio angolo della mia mente, annebbia i miei pensieri adesso che mi trovo qui, davanti al cancello d’ingresso di questa scuola islamica. Chissà  perché temo di essere respinto, di trovare un ambiente ostile e chiuso, non così ben predisposto alla vista di due  sconosciuti occidentali un po’ troppo curiosi. Ora che osservo meglio, le bambine e le ragazze che si trovano nel cortile indossano il velo, tutti hanno la divisa della scuola: maglioncino, pantalone blu e una camicia a quadretti. Alla fine mi faccio coraggio, scaccio via le ombre impertinenti della mente e varco la soglia. Male che va ci cacceranno via, dico ad Elena che ha deciso di condividere con me questa spontanea incursione fuori programma.

Jullay, jullay, jullay! Entro a grandi passi, esclamando infiniti jullay accompagnati da un sorriso. Tutti salutano, le ragazze in modo più schivo, nei loro occhi uno stupore gentile. “Where is the Director?”  millanto sicurezza mentre chiedo dove sia il preside o un adulto qualsiasi a cui possa rivolgermi. Mi indicano una porta al piano superiore, nella parte destra di un lungo ballatoio su cui si affacciano quelle che mi sembrano essere le classi della scuola. Mentre salgo le scale ripasso nella mente incerte frasi di presentazione in inglese, ormai sono dentro, mica posso tornare indietro! Dalle classi qualcuno si affaccia furtivo, ci guarda, ride. E questi da dove sputano fuori, penseranno.

Busso, mi tolgo le scarpe, una voce mi invita ad entrare. Parto con la mia presentazione, quella che poco prima avevo velocemente ripescato nella memoria. Ad accogliermi c’è un uomo sui trent’anni, mi invita a sedermi sul divano. Sulla parete di fondo una grande scrivania e alcuni trofei esposti su una mensola mi danno  la certezza di trovarmi in una presidenza. E lui chi sarà? Il preside? Mentre termino il mio  incerto discorso lui mastica vigorosamente un chewingum. No, non può  essere  il preside. E infatti non lo è, lui è l’insegnante di urdu, la lingua maggioritaria in questa parte di India. Seduto sul divano inganno il silenzio con domande sparse, quanti alunni, quali materie, quanti prof. Lui mi risponde a stento, con poche parole che alterna ad uno strano sorrisino divertito. Non ho mica capito se mi capisce, eppure mi sento bene, mi sento accolto e ogni ombra si dissolve repentina sotto la luce eterica che filtra dalle grandi vetrate della stanza. 

Fuori dalla finestra una montagna imponente ci guarda quasi a volerci ricordare con la sua presenza le reali dimensioni del mondo, le proporzioni, i rapporti, i giusti equilibri tra noi e lei, tra uomo e natura. A breve arriverà il preside e il prof. col chewingum mi invita ad aspettarlo, alle 10 poi ci sarà nel cortile l’assemblea mattutina con gli alunni e i prof. della scuola. Nel frattempo arrivano alla spicciolata la prof. di matematica e quella di inglese. Ci presentiamo, parliamo un po’ mentre compilano i registri,  mi accolgono con sorrisi così gentili e discreti che in pochi minuti mi sento uno di loro. Ho capito che la presidenza è  anche una sala prof., un luogo in cui riposarsi, bere un the, riordinare i materiali e i pensieri poco prima di iniziare la giornata. 

Oggi è  anche il luogo in cui ci incontriamo, noi così diversi e così uguali mentre aspetto il preside nell’aria tersa dai pregiudizi di questa giornata di agosto.

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