Sclerosi Multipla, Pozzilli: “Il vero problema oggi è l’aderenza alla terapia”

I dati dello studio BETAPLUS indicano che avere un sostegno è un elemento chiave

Oggi nella lotta alla Sclerosi Multipla uno dei punti dolenti è l’aderenza alle terapia. “Quasi un malato di sclerosi multipla su due, se lasciato solo, abbandona la terapia entro i primi due anni e si espone al rischio di ricadute e disabilità”. A dirlo è il prof Carlo Pozzilli, Ordinario di Neurologia alla Sapienza di Roma e responsabile del Centro Sclerosi Multipla del S. Andrea. Numerosi elementi utili a capire le problematiche connesse alla scarsa aderenza sono stati evidenziati proprio da uno studio – il BETAPLUS – coordinato dal prof. Pozzilli ed effettuato su 1077 pazienti provenienti da 15 paesi, tutte persone affette da SM ed in terapia con Betaferon di Bayer (interferone beta 1b). Lo studio mirava a stabilire quali fossero i fattori determinanti una scarsa aderenza al trattamento preventivo, nonché a fornire indicazioni riguardo i possibili approcci per sostenere il paziente nel lungo termine. Alla fine dei 24 mesi di osservazione, il  61,8 per cento dei 1077 pazienti si era mostrato aderente alla terapia con  Interferone beta-1b. I pazienti che hanno partecipato sono stati periodicamente sottoposti a valutazioni relative a disabilità, qualità della vita e depressione.    

Professore quali sono i principali problemi che portano a lasciare o ridurre la terapia?    
Uno dei principali problemi è legato alla necessità di ricorrere a iniezioni più volte alla settimana, un numero elevato di pazienti è agofobico per cui non sopporta tale schema di somministrazione. Inoltre dopo anni di iniezioni diventa difficile trovare un sito sicuro per le iniezioni a causa delle reazioni locali ripetute e questo spinge verso una interruzione della terapia. Pur tenendo presente la evidente efficacia contro la malattia – è dimostrato che un uso precoce del Betaferon rallenta la progressione fino al 40 per cento – causano purtroppo effetti collaterali. Con l’uso degli interferoni è frequente all’inizio una sindrome simil-influenzale che va poi diminuendo nel corso delle settimane successive. In molti pazienti si osserva un peggioramento dell’emicrania, in particolare in quanti già sofferenti di tale disturbo prima dell’inizio del trattamento. Il Copaxone, l’altro farmaco immunomodulatore, può causare reazioni allergiche e manifestazioni dermatologiche. I pazienti, benché consapevoli a priori di tali effetti collaterali, talora si scoraggiano, temono la disabilità ma non riescono a convivere con alcuni di tali disturbi, ed è per tale motivo che devono essere controllati assiduamente.

Come li si può aiutare ad essere più aderenti alle terapie?    
Gli aspetti da salvaguardare per favorire la compliance sono diversi. Dai dati dello studio BETAPLUS emergono numerose indicazioni in tal senso. Ad esempio abbiamo visto che dotare il paziente di auto-iniettore e istruirlo sull’uso corretto tramite un infermiere dedicato aiuta molto a superare le difficoltà con l’ago. Inoltre, il fatto stesso di avere un infermiere dedicato e un servizio da consultare al bisogno, aiuta a sentirsi molto più sicuro, migliora la qualità di vita e l’ aderenza al trattamento. Avere qualcuno che condivida questi momenti è fondamentale, sia il personale specializzato che la famiglia, che svolge ovviamente un ruolo altrettanto fondamentale. Dobbiamo capire che nell’aderenza alla terapia entrano in gioco non solo fattori fisici ma anche psicologici, che non sono affatto secondari.   

 
Il fattore psichico conta dunque molto nell’aderenza?    
Certamente, è un aspetto che non dobbiamo mai sottovalutare. Vanno usate delle accortezze fin dalla diagnosi, a partire dal modo in cui la comunichiamo. Se possibile, è bene coinvolgere la famiglia; in Italia abbiamo la possibilità di farlo, in alcuni paesi esteri il medico è molto più vincolato a dare la risposta esclusivamente al paziente. I dati ci mostrano che dove c’è una famiglia vicina il paziente è più aderente alla terapia. Anche nelle fasi successive, in occasione delle visite di controllo, andrebbe ad esempio evitato che un paziente con SM allo stadio iniziale incontri in sala d’attesa pazienti con grave disabilità. Anche la depressione è un elemento da valutare attentamente. La maggior parte dei pazienti va incontro ad una fase di depressione, quasi sempre dopo la diagnosi, talvolta successivamente, magari per una recidiva. In genere quelli che si deprimono all’inizio saranno pazienti più consapevoli e aderenti, a contrario di chi si pone con atteggiamento di negazione. Questo ultimo risulterà il paziente più difficile. Nei casi di depressione maggiore tendo ad aspettare che il disturbo si attenui prima di iniziare una terapia farmacologica con immuno-modulanti per non aggiungere un ulteriore elemento di problematicità. E’ fondamentale per gestire al meglio tale situazione un buon rapporto medico paziente, che dovrebbe essere instaurato sin dai primi incontri.

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