SMA, Sabrina dal 2006 vive da sola grazie ad ‘Abilitando’ un progetto innovativo della Lombardia

La possibilità di usufruire di alcuni finanziamenti e di un minimo di assistenza domiciliare nel primo periodo è stata importante, la sua determinazione ha fatto il resto

ROMA – “Sono affetta da una malattia rara, la SMA, diagnosticata all’età di circa 1 anno, livello II/III. La disabilità, un po’ per ‘deformazione professionale’ e per il mio carattere, la vivo in parte come risorsa ed in parte come limite, talvolta come rinuncia e tal’altra come possibilità. Posso dire che sicuramente rappresenta una difficoltà nella mia vita (e credo di chiunque ne sia colpito o affetto), e credo profondamente che il modo di una persona di affrontare le difficoltà, dipenda dal contesto famigliare in cui nasce e cresce, dal contesto sociale in cui immerso e dal suo carattere; mi ritengo fortunata, perché tutti e tre questi fattori sono stati per me positivi e fondamentali per farmi diventare ciò che sono ora e ciò che provo a raccontarvi in queste righe”. Comincia così il racconto di Sabrina, 31 anni, che l’associazione ASAMSI ha raccolto per Osservatorio Malattie Rare affinché sia dia voce a questa malattia.

“Se dovessi fare un bilancio della mia vita fino ad ora e descrivere quelli che sento essere i limiti della mia disabilità – scrive Sabrina – proverei con poche riflessioni ed esempi: il fatto di crescere perdendo continuamente, seppur in modo graduale (non sempre però), capacità ed abilità fisiche, fa si che io abbia dovuto e debba ‘lavorare’ per continuare a fare le cose che facevo in modo diverso, o addirittura smettere di fare le cose che realizzavo e provare a farne altre, cercando di non dimenticarmi mai di continuare a vivere comunque la mia vita (sembra facile ma non lo è per nulla a volte);  insomma la ricerca di un continuo equilibrio fisico, che si somma all’equilibrio psicologico e mentale di cui tutti siamo, in realtà, alla costante ricerca. Un altro aspetto che per me è davvero limitante, è il fatto che la disabilità poi, (a causa della diversa conformazione fisica del corpo, della difficoltà o impossibilità di muoverti, ecc.) ti pone di fronte all’altro in un modo forte, obbligato e diverso da ciò che è considerato dalla maggioranza ‘usuale’, e ciò crea nell’altro, prima ancora che in te stesso talvolta, modalità d’approccio diverse e spesso dissonanti rispetto a ciò che sei o all’età che hai: parlo ad esesmpio del modo di trattarti come una bimba (pietismo e buonismo), quando in realtà sei un’adulta di 31 anni ed una donna; oppure l’istinto di crederti debole e incapace intellettualmente (magari leggere per te uno scritto pensando che tu non ne sia in grado da sola), quando magari sei una persona abbastanza strutturata, istruita e immersa a pieno titolo nel mondo del lavoro da anni; potrei andare avanti così per molti esempi. Ciò va oltre il naturale imbarazzo o difficoltà che si può avere da entrambe le parti, quando davanti si ha qualcuno o qualcosa di non usuale; e credo profondamente che talvolta noi stessi disabili arriviamo a credere di avere bisogno di questo tipo d’approccio dissonante, e talvolta ancora siamo proprio noi stessi che lo permettiamo”.

“Ora – prosegue Sabrina – mi piacerebbe raccontarvi come sto gestendo questi ed altri limiti e rinunce legate alla disabilità, attraverso il racconto di un pezzo di vita che cerco di narrarvi senza annoiarvi, partendo da “un certo punto” non poi tanto lontano, per scelta”. Anche la vita di Sabrina, infatti, così come quella di Elena, ad un certo punto ha preso la direzione di una vita autonoma rispetto alla famiglia d’origine. 
“Mi sono laureata in scienze dell’educazione nel 2004 ed ho cercato subito un lavoro – racconta Sabrina –  l’ho trovato dopo circa 6 mesi, casualmente nel settore sociale, (perché non cercavo in un contesto particolare, ma ovunque fosse possibile lavorare) in cui lavoro tutt’oggi e che trovo a me congeniale per diversi motivi. La prima Cooperativa sociale per cui ho lavorato e per la quale lavoro ancora, che si occupa di servizi e progetti rivolti alla disabilità, nel 2005 ha iniziato a pensare e costruire un progetto innovativo in Lombardia, ‘Abilitando’, che consisteva nella costruzione di 3 appartamenti per persone disabili fisiche in grado di autodeterminarsi e poter vivere, con l’aiuto di ausili tecnologici e di assistenza specializzata, una vita indipendente. Mi è stato proposto di provare quest’esperienza dalla mia responsabile. Io però, che avevo iniziato da poco una nuova vita lavorativa e fuori dall’ambito scolastico in cui ero stata immersa per anni, non mi sentivo pronta per fare un passo così grande, seppure nella mia mente quest’idea era già balenata anni prima; quando finite le superiori stavo scegliendo il percorso di studi da intraprendere, avrei voluto frequentare un indirizzo scolastico che era possibile allora solo a circa 200 km da casa o più, ed avevo iniziato a pensare ed informarmi su come poter vivere in un appartamento magari da condividere con un’amica, ecc., ma le difficoltà sembravano troppe, io ero probabilmente ancora immatura ed i timori hanno prevalso su tutto, quindi ho scelto un’altra strada, vicina a casa. Ma il tarlo ormai era instaurato nella mia mente. L’anno dopo (il progetto nel frattempo era un po’ rallentato per cause di forza maggiore) il nuovo coordinatore del progetto mi ripropose l’offerta, ed io dopo grandi titubanze ed analisi approfondite prima tra me e me, e poi con amici fidati, ho deciso di accettare. Nel settembre 2006 sono andata quindi a vivere da sola!”.

“Il tutto – sottolinea – è stato possibile e facilitato dal fatto che la Cooperativa, grazie ad un finanziamento della L. 388, ha potuto garantire i primi 6 mesi di VI gratuiti (quindi nessun affitto, spese ne condominiali ne d’assistenza o altro) e contemporaneamente permettermi di rendermi conto di quali fossero le spese e le necessità da sostenere e di cui avrei avuto bisogno, le fatiche e gli sforzi cui sarei andata incontro. La gestione della casa e della mia persona avveniva inizialmente con l’aiuto di un’ASA al mattino, 1 ora durante il giorno e 1 ora la sera, (mia collega al lavoro e vicina di casa tutt’oggi), e di una ragazza che stava sperimentando un percorso di volontariato internazionale, di notte per girarmi in caso di bisogno o altro; andavo al lavoro grazie ad un pulmino dotato di pedana elettrica in dotazione alla Cooperativa (che potevo utilizzare in determinati orari durante il giorno e la sera) guidato da volontari del territorio, inizialmente trovati grazie all’aiuto della Coordinatrice del progetto, e successivamente cresciuti da un passa parola tra loro stessi.

 

Terminati i 6 mesi di sperimentazione gratuita ho deciso di continuare contando sulle mie forze e quelle delle persone che avevo ed ho accanto, in particolar modo i miei genitori, ed ho iniziato un vero e proprio percorso di Vita Indipendente: ho assunto direttamente un’assistente personale che mi aiuta a gestire le mie esigenze fisiche e d’igiene e la pulizia della casa, per 40 ore a settimana, ed ho richiesto per sostenerne la spesa, il finanziamento per la Vita Indipendente della L. 162/98 al mio Comune, di cui sto usufruendo tutt’oggi nonostante riduzioni e incertezze costanti; ho aumentato le mie esperienze lavorative in base alle energie di cui ancora dispongo, per avere anche una maggiore sicurezza economica e poter pagare quindi l’affitto e le spese della casa ecc.; ho acquistato circa un anno e mezzo fa, finalmente, una macchina con pedana elettrica in modo che io possa utilizzarla quando voglio e salirci con la carrozzina elettrica comodamente, che però dev’essere ancora guidata da altri, i miei genitori, amici ed i numerosi e “fedeli” volontari, che ancora mi accompagnano nei miei innumerevoli viaggi di lavoro e non.
“Ora – conclude Sabrina – lavoro come responsabile qualità per due Cooperative Sociali, sono animatrice in un gruppo di sensibilizzazione alla diversità e disabilità nelle scuole e sul territorio e mi occupo poi di altri progetti e occupazioni inerenti il mondo del sociale come dicevo sopra. La mia vita prima di andare a vivere ‘da sola’ non era sicuramente triste o vuota, avevo ed ho tutt’ora un bel rapporto con la mia famiglia, coi pro ed i contro del caso (figlia unica e quindi un po’ viziata e protetta, tanto a volte!), tanti amici anche carissimi che tutt’ora ho vicino, ho potuto fare molte esperienze diverse, uscivo la sera con gli amici, quando potevo andavo in vacanza e viaggiavo con loro, ecc. Ma certamente grazie a questa esperienza, che non è “a tempo” ma l’inizio di un percorso in crescita, la mia qualità di vita è migliorata fortemente, il raggio delle esperienze e la mia mente sono aumentate notevolmente e sono in continua evoluzione e cambiamento”.

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