Nell’epoca dei colori digitali, quando svariati programmi possono tramutare un’immagine smorta in qualcosa di esplosivo, c’è un’incredibile, quasi parossistica, riscoperta del bianco e nero. Oramai è una tendenza irrefrenabile, che colpisce un po’ tutti, non soltanto i fotografi professionisti
Pochi pensavano possibile che un’azienda blasonata come la «Leica» avesse il coraggio di immettere sul mercato una nuova fotocamera digitale che scatta fotografia soltanto in bianco e nero. Non ci credete? Digitate su Google «Leica monochrom» e leggete, scoprirete che l’impossibile esiste e costa pure parecchio (quasi settemila euro, solo il corpo).
Come molti sanno, le «Leica» hanno fatto la storia della fotografia. Grandi artisti come Cartier Bresson scattavano solamente con le loro «M4», tutt’al più, come nel caso di Bob Capa, si dotavano anche di una «Contax» ed obiettivi fissi, magari un 35 mm. perché, come diceva proprio Capa, «se la foto non è buona vuol dire che stavi troppo lontano». Le «Leica» erano (e sono) macchine fotografiche “a telemetro”, cioè il mirino non inquadra la stessa scena inquadrata dall’obiettivo, come succede alle “reflex”, che presero il sopravvento dopo gli anni ’60 del secolo scorso. Ciò è un difetto sostanziale, perché l’immagine inquadrata non corrisponde esattamente a quella che impressiona la pellicola o il sensore (si tratta del cosiddetto “effetto di parallasse”). Ma la grandezza della costruzione meccanica e gli obiettivi utilizzati (i migliori del mondo, gli «Zeiss», anch’essi di fabbricazione tedesca), hanno fatto di questa macchina fotografica qualcosa di più di un mito.
LO STILE “RETRÒ”. Con l’avvento del digitale, l’azienda tedesca si è anch’essa ovviamente convertita ai sensori ma non ha rinunciato al suo stile “retrò”. Tutte le «Leica» digitali (l’ultima serie è la “M9”) assomigliano in modo impressionante a quelle a pellicola, con lo “chassis” rigorosamente metallico anziché di plastica rinforzata come tutte le altre e il mirino galileiano, cioè non reflex. Sono molto più lente delle altre, difficili da usare, ad esempio, per foto sportive (immaginiamoci una corsa automobilistica!), non hanno l’autofocus che consente un controllo totale e immediato dell’immagine e costano anche molto di più delle pur blasonate «Canon» o «Nikon», i cui modelli di punta sembrano dei carri armati rispetto alle «Leica». Queste ultime si indossano più che portarsi e, con un obiettivo aggiuntivo in tasca, danno ampia versatilità al cacciatore di immagini senza che sia scambiato per un paparazzo. Lo “stile Leica” è anche questo.
LA SCELTA DEL BIANCO E NERO. Ma ciò che stupisce di più è che l’azienda tedesca ha sfornato in questi giorni il modello «Monochrom» che, come dice il nome, è in grado di scattare soltanto immagini in bianco e nero. I progettisti hanno infatti tolto il filtro anti-alias presente in tutti i modelli, che serve al campionamento del colore, in sostanza a tramutare il colore della realtà in colore digitale, dopo aver scoperto che, senza questo filtro, cresceva la nitidezza del’immagine e perfino la luce captabile dalla macchina. Quindi, fotografie più fedeli in nitidezza e una accresciuta capacità di scattarle quando la luce è scarsa, con pochissimo “disturbo” (il cosiddetto “rumore”, quello che su pellicola si chiamava “grana”). Chi acquista questo costoso modello, dunque, sa che non potrà riprendere il compleanno del proprio figlio o del proprio coniuge a colori. Un vezzo da ricchi? Una moda destinata a morire?
LA FILOSOFIA MONOCROMATICA. Probabilmente, dietro il successo del bianco e nero c’è una scelta estetica, quindi una filosofia che le persone magari captano in modo inconsapevole. Nonostante i nostri occhi vedano immagini soltanto a colori, il nostro cervello costruisce anche immagini monocromatiche. Quando ci risvegliamo, sovente non riuscendo a ricordare i colori del sogno che abbiamo fatto, è perché abbiamo sognato in bianco e nero. Questo succede anche quando cerchiamo di focalizzare i nostri ricordi, ad esempio il viso di una persona conosciuta molto tempo prima. Rimangono impressi molti particolari, ma non sempre il colore degli occhi o quello dell’incarnato (differente da persona a persona). In altri termini, il nostro cervello riesce ad elaborare con maggiore facilità il ricordo dei volumi geometrici che non il ricordo dei colori. È forse anche per questo che, molto spesso, il bianco e nero viene associato a immagini drammatiche, perché la sua forza sta anche in un’astrazione dalla realtà, in una rielaborazione fatta dal nostro cervello e dalla nostra capacità visiva.
NON SOLO NOSTALGIA. L’attuale successo del bianco e nero in fotografia (ad esempio, non nei video o al cinema) andrebbe studiato forse con più attenzione, perché indica qualcosa che sta prevalendo nell’animo umano. Forse insoddisfazione per lo stato presente, forse frustrazione. O anche la percezione di un mondo diverso da quello che ci circonda, dove i colori sono stati cancellati e non si conoscono le ragioni di una scelta così drastica.