La CEI all’attacco del governo. Bagnasco: “Indignarsi non basta”

GENOVA – Chi pensava che la sortita dei vescovi italiani contro il governo si esaurisse nel solito fuoco di paglia e s’infrangesse nel solito aumento dei contributi alle scuole cattoliche, questa volta deve aver avuto un brusco risveglio.

Non solo le denunce e le critiche non si sono fermate alla “prolusione” del presidente Bagnasco ai lavori del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale, ma sono proseguite con l’ormai frenetico attivismo proprio dell’arcivescovo di Genova che, nel corso di questa settimana, ha già trovato il tempo di intervenire tre volte solo per segnalare le preoccupazioni che da Oltre Tevere si nutrono sulla situazione politica, economica e sociale del nostro Paese.

Un attivismo, peraltro, che non si limita più alla semplice denuncia ma che ha preso la piega, ormai, dell’intervento di merito e della vera e propria proposta politica che va ben al di la delle scelte che stanno compiendo i 45 “frondisti” del PdL che, guidati da Pisanu e Scajola, sembra stiano lavorando ad una nuova “mozione Grandi” per un “25 luglio” del cavaliere.

Una mozione che, a quanto è dato sapere, è stata senza dubbio ispirata dalla “prolusione” di Bagnasco tanto che i diretti interessati, pur senza pensare (ancora) alla costituzione di un nuovo “partito unico” dei cattolici (peraltro non richiesto dai vescovi), dopo essersi incontrati – dicono i bene informati – con Casini e Formigoni nel salotto del banchiere ed economista cattolico Pellegrino Capaldo, dovrebbero partecipare all’appuntamento che quella fetta dell’establishment cattolico si è già dato per il 17 ottobre a Todi, alla presenza proprio del presidente della CEI.

Insomma, almeno da quel che traspare dagli interventi di Bagnasco, i vescovi italiani non solo sembrano non fidarsi più dei loro “rappresentanti” in parlamento ma, convinti di poter contare su uno dei migliori centri studi del paese costituito dalle sensibilissime antenne sul territorio di migliaia di parroci e presbiteri, nella maggior parte dei casi impegnati ad aiutare il popolo “a tenere botta”, hanno deciso di controbattere con le loro ricette e proposte a quelle dei nuovi “imprenditori ridens” attivissimi, negli ultimi tempi, a rendere noto il proprio pensiero a suon di migliaia di euro in pagine e spazi pubblicitari sui grandi organi d’informazione.

Così, allora, dopo le sortite del giorno 4 al porto di Genova con i camalli a cui il cardinal Bagnasco ha ricordato che “Il diritto al lavoro è costitutivo della dignità umana e, quindi, va tutelato”, ieri a margine della presentazione del progetto educativo della Diocesi di Genova: “Che cosa cercate?”, è tornato sul concetto – già espresso sostenendo la lotta degli operai di Fincantieri di Sestri Ponente – secondo cui “l’indignazione non basta”.

“La mancanza di occupazione – ha detto il presidente della CEI – è una difficoltà di carattere sociale, economico, che investe tutto il mondo e in particolare l’occidente, però l’educazione mira non a risolvere questi problemi ma a costruire una mentalità, un modo di sentire, di pensare e quindi di agire, che aiuti i ragazzi di oggi e gli adulti di domani ad affrontare le difficoltà della vita. L’educazione è sempre a monte, queste difficoltà sono oltre. Ma se l’uomo è in grado di affrontare le difficoltà con animo positivo, responsabile e con intelligenza le cose cambiano. Un conto – ha concluso il presule – è essere indignati e protestare solamente, come è stato in certe situazioni, un altro è rendersi conto dei problemi e volerli affrontare in modo costruttivo”.

Un ragionamento che, sembra richiamare – mutatis mutandis – una posizione cara a Pietro Ingrao espressa, ancora recentemente, nel suo ultimo libro (“Indignarsi non basta”, appunto) presentato lo scorso 30 marzo, nel giorno del suo 96° compleanno, in cui il vecchio dirigente comunista afferma che “Bisogna costruire una relazione condivisa, attiva perché – dice – valuto molto più forte il rischio che i sentimenti dell’indignazione e della speranza restino, come tali, inefficaci, in mancanza di una lettura del mondo e di una adeguata pratica politica che dia loro corpo”.

Con questo, non vogliamo pensare che Bagnasco si sia ispirato al padre nobile della sinistra italiana ma è quanto meno singolare che siano arrivati, pur per strade differenti, alle stesse conclusioni secondo cui, per dirla con Ingrao, “è illusorio pensare che l’indignazione possa supplire alla politica e, in primo luogo, alla creazione delle sue forme efficaci”.

Certo è, comunque, che il presidente della CEI appare sempre più deciso nel manifestare il suo dissenso (e, pensiamo, quello dei vescovi italiani) nei confronti di un sistema economico che continua a vedere nella crescita dei consumi la sola ricetta per la soluzione dei problemi del mondo e d’Italia.

Una posizione chiara che l’arcivescovo di Genova ha espresso, lo scorso 5 ottobre, durante la presentazione del “Rapporto-proposta sul futuro dell’Italia” sul “Cambiamento demografico” curato dal cardinale Camillo Ruini e dai professori Giancarlo Blangiardo, Francesco D’Agostino e Antonio Golini.

Infatti, analizzando i dati proposti, secondo cui l’attuale situazione che è figlia “dell’incuria italiana degli ultimi quarant’anni nei confronti del problema demografico” e che vede mancare all’appello – per il mantenimento, almeno, dell’attuale dimensione demografica – la cifra di circa 150mila bambini, il cardinal Bagnasco afferma che “Non è con più consumo e meno figli che risistemeremo l’economia ma attraverso una revisione radicale delle priorità”.

“I figli – ribadisce Bagnasco, non sono un peso, ma una risorsa e pertanto è necessario sostenere la famiglia. Non vi è dubbio – precisa il presule – che una società in cui si interrompe la catena generativa e si blocca il circuito della testimonianza tra le generazioni è una società impoverita e destinata a isterilirsi”.

“La nostra cultura fa talvolta vedere i figli come un peso, un costo, una rinuncia, ma i figli sono prima di tutto una risorsa”, aggiunto il presidente della Cei. Per questo bisogna “incoraggiare nuovi modelli di solidarietà interfamiliare e intergenerazionale, facendo in modo che i genitori non si sentano abbandonati proprio dalla società che contribuiscono a tenere in vita”.

Secondo Bagnasco, in conclusione, “Se non si riusciranno a far scaturire, nel breve periodo, le condizioni psicologiche e culturali per siglare un patto intergenerazionale  l’Italia non potrà invertire il proprio declino: potrà forse aumentare la ricchezza di alcuni, comunque di pochi, – ha concluso il presidente della CEI – ma si prosciugherà il destino di un popolo”.

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