ROMA – Il rapporto Ocse presentato a Parigi conferma, purtroppo, una situazione che ci è fin troppo chiara da tempo.
Tra i Paesi iscritti all’Organizzazione, l’Italia risulta terzultima per partecipazione delle donne nel mondo del lavoro: vista la carenza di politiche tese a favorire l’occupazione femminile, si tratta di un dato che non sorprende affatto. Nel nostro Paese il nodo della discriminazione di genere è stato a lungo sottovalutato e messo da parte e sono numerosi gli studi che documentano come le donne siano le più gravemente colpite dalla disoccupazione aumentate dall’attuale crisi economica .
La situazione non potrà migliorare finché non verranno adottati provvedimenti e politiche di crescita efficaci. Il welfare, gli asili nido, i servizi per i non autosufficienti, l’incremento degli incentivi fiscali di sostegno all’imprenditoria femminile – attualmente quasi inesistenti – e il rafforzamento di servizi sociali ancora inadeguati costituiscono, insieme alla garanzia di tutela per i casi di maternità, le precondizioni necessarie per l’eliminazione della discriminazione di genere. Occorre inoltre considerare la necessità di infrastrutture per la crescita del Paese e a favore dell’occupazione femminile. E’ giunto il momento di un’assunzione di responsabilità da parte del mondo politico, che deve proporre interventi mirati.
Continuare ad ignorare il problema non solo è eticamente scorretto e indegno di una società democratica ma risulta anche controproducente dal punto di vista economico: una maggiore presenza delle donne nel mondo del lavoro costituirebbe infatti un importante fattore di sviluppo che, come dichiarato dalla Banca d’Italia e dall’Istat, farebbe crescere il Pil del 7%.
Sanità a rischio
Ma tra le problematiche del paese non è da meno il controverso dibattito sulla sostenibilità della sanità pubblica a cui stiamo assistendo ormai da settimane e che sta diventando sempre più martellante e, a nostro avviso, estremamente pericoloso.
I continui riferimenti a forme di compartecipazione dei cittadini ai costi del Sistema Sanitario Nazionale fanno pensare che il Governo si stia orientando sempre di più verso ipotesi di privatizzazione. Abbiamo più volte evidenziato come un’ottica di questo tipo non sia solo lesiva del diritto alla salute, ma possa risultare anche controproducente dal punto di vista economico e occupazionale.
Federconsumatori ribadisce il fermo no ai tagli, che danneggiano le famiglie – già gravemente provate dall’elevata pressione fiscale e dal drammatico crollo del potere d’acquisto – e che minano il nostro SSN, compromettendo la qualità dei servizi.
Nonostante tutto, la sanità italiana è internazionalmente riconosciuta come una delle meno costose e delle più valide al mondo ma, se non avverrà una decisa inversione di tendenza sul fronte delle politiche sanitarie, il nostro sistema genererà inaccettabili disuguaglianze, mettendo in discussione il fondamentale diritto alle cure per tutti i cittadini. Il carattere universalistico della sanità pubblica non deve essere messo in discussione: c’è il rischio che nasca un sistema a due corsie, con una sanità scadente (o addirittura nulla) per i meno abbienti e un’altra di qualità superiore per chi invece può permettersi di pagare un’assicurazione privata.
Dopo i tagli selvaggi attuati sul SSN, in un contesto di emergenza per posti letto, liste di attesa e rinunce alle cure per motivi economici, è necessario non indebolire e anzi sostenere la sanità pubblica e universale, garantendo efficienza ed innovazione per ridurre gli sprechi e impedire gli episodi di corruzione.