“Riforma” della giustizia. Diciotto articoli per mettere la mordacchia ai pubblici ministeri

ROMA – Sono diciotto gli articoli della “riforma epocale”, destinati a sconvolgere l’impianto costituzionale in materia di giurisdizione. Per comprenderne la portata bisogna innanzitutto notare che sono stati imposti da un plurimputato come Silvio Berlusconi.

Quanto ci possa essere di equanime in una “riforma” del modo di operare i processi da parte dei giudici da una persona che si sottrae al giudizio da quindici anni con leggi appositamente studiate per lui è facile comprenderlo. Un disegno di legge costituzionale che, come commenta oggi l’Associazione nazionale dei magistrati,  “è una riforma punitiva il cui disegno complessivo mina l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e altera sensibilmente il corretto equilibrio tra i poteri dello Stato. È una riforma contro i giudici che riduce le garanzie per i cittadini”. Ma vediamo punto per punto di cosa si tratta. 

INAPPELLABILITÀ DELLE SENTENZE DI ASSOLUZIONE. Fatta uscire dalla porta dalla Corte Costituzionale, che bocciò la legge Pecorella che l’aveva introdotta, il centro-destra la fa rientrare dalla finestra. È un suo vecchio pallino, quello di depotenziare le possibilità per i pubblici ministeri di ricorrere in appello quando l’imputato sia stato assolto. Il testo prevede che siano appellabili soltanto le sentenze di condanna (salvo che la legge non disponga diversamente data la natura del reato), mentre quelle di proscioglimento lo sono soltanto nei casi previsti dalla legge. Il percorso è ancora molto fumoso in quanto il ddl rimanda ad una legislazione apposita (che integrerà l’attuale codice di procedura penale) le disposizioni che regoleranno (e limiteranno) le possibilità di un ricorso in appello e in Cassazione.

RIFORMA DEL CSM. Il punto forte della “riforma”. Il centro-destra vede nel Consiglio Superiore della Magistratura, previsto espressamente dalla Costituzione come Organo di autogoverno dei magistrati e che quindi vigila sull’autonomia del terzo potere dello Stato, il grimaldello per sovvertire proprio l’autonomia non dei magistrati giudicanti ma di quelli requirenti, cioè dei pubblici ministeri (contro cui la riforma viene formulata). Si può dire che tutto il testo sia orientato proprio a questo, a depotenziare il potere della pubblica accusa, che troppo spesso, secondo l’interessato parere dei berlusconiani, inquisisce per via giudiziaria il ceto politico volendo in realtà colpirlo nella sua legittimazione democratica. Per fare questo, il Csm sarà sdoppiato. L’articolo 104-bis della Costituzione istituirà il Csm presieduto dal Capo dello Stato e composto per metà da “giudici ordinari  tra gli appartenenti alla medesima categoria previo sorteggio degli eleggibili e per metà dal parlamento in seduta comune fra professori ordinari di università in materia giuridiche e avvocati dopo 15 anni di esercizio”. L’articolo 104-ter istituirà il secondo Csm, composto per metà dai pubblici ministeri e per metà da membri scelti dal Parlamento come nel Csm numero uno. I compiti del doppio Csm sono stabiliti dal successivo articolo 105, in forza del quale “spettano al Consiglio superiore della magistratura giudicante e al Consiglilo superiore della magistratura requitrente, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti e le promozioni nei riguardi dei giudici ordinari e dei pubblici ministeri”. Il futuro Csm non potrà, come ora, “adattare atti «di indirizzo politico nè esercitare funzioni diverse da quelle previste nella Costituzione”. Verrà cioè depotenziato da quelle funzioni che dovrebbero servire da ausilio al Parlamento in materia di legislazione penalistica o civilistica.

OBBLIGATORIETÀ DELL’AZIONE PENALE. I berlusconiani da sempre sono contrari a questo principio di garanzia, fondamentale per rispettare quello di uguaglianza previsto dall’articolo 3 della Costituzione. Grazie all’obbligatorietà dell’azione penale, infatti, il pm deve forzatamente aprire un fascicolo ogni qualvolta abbia una notizia di reato che, se insussistente, viene archiviata. Ma ciò ha anche consentito di inquisire il ceto politico e, in particolar modo, il Presidente del Consiglio. Ora, il disegno di legge prevede che il  pm “ha l’obbligo di esercitare l’azione penale secondo i criteri stabiliti dalla legge”. Ciò significa che sarà il Parlamento ad emanare gli indirizzi per il perseguimento dei reati secondo orientamenti propriamente politici (e, quindi, ad esempio dare la precedenza alla microcriminalità piuttosto che ai reati dei colletti bianchi, quelli finanziari del ceto dirigente). E così si attuerà proprio quanto falsamente il centro-destra dichiara di voler debellare: la giustizia orientata politicamente, ad uso e consumo della “casta”.

RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI. Altro fondamentale grimaldello utilizzato dai berlusconiani per depotenziare l’azione dei giudici. Se mai la “riforma” entrerà in vigore, i magistrati saranno direttamente responsabili dei loro errori, pagando di tasca propria una ingiusta condanna (ora, in tal caso, paga lo Stato), come qualsiasi funzionario pubblico. È chiaro che, con tale norma, qualsiasi pubblico ministero si guarderà bene dall’inquisire un qualsiasi potente, dato che questi avrà a disposizione i migliori avvocati per dimostrare la propria innocenza e, in più, un’arma di ricatto contro il suo giudice. Resta da ricordare che nessuna responsabilità civilistica è addebitata ai parlamentari e agli uomini di governo per i loro errori, che possono fare qualsiasi cosa senza dover rispondere patrimonialmente dei loro atti.

SEPARAZIONE DELLE CARRIERE. Il vero sogno dei berlusconiani. Il nuovo articolo 104 della Costituzione prevede che i magistrati, assunti dopo la vincita di un concorso pubblico, dovranno scegliere se fare i giudici o i pm a vita. Una volta presa la decisione, non si potrà tornare indietro. In questo modo, sarà possibile legare i pm al potere politico, farne dei magistrati che non devono ficcare il naso negli affari proibiti della casta.

POLIZIA GIUDIZIARIA. Il testo utilizza una formula vaga su un altro punto fondamentale della controriforma berlusconiana, prevedendo che sia il giudice, sia il pm potranno disporre della polizia giudiziaria “secondo le modalità stabilite dalla legge”. In realtà, l’obiettivo è quello di depotenziare anche il rapporto gerarchico fra pubblico ministero e organi di polizia in modo tale che la seconda svolga indagini autonomamente, secondo gli indirizzi dettati dal Governo.

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