L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e la più vergognosa delle mistificazioni

 

Nemmeno gli imprenditori affermano che se venisse abolito assumerebbero più persone. Ma il furore ideologico della destra e dei “tecnici”  al governo cerca in tutti i modi di dare l’ultima mazzata ai lavoratori e soprattutto ai sindacati. Dichiarando il falso

Come è avvenuto per le pensioni e per i pensionati, praticamente accusati di aver messo sotto scacco il debito pubblico italiano, senza mai nemmeno nominare i quarant’anni di dilapidazioni fatte dai politici corrotti (secondo la Corte dei Conti, il costo della corruzione è di 60 miliardi annui), ora è la volta degli “ ipergarantiti”, cioè dei lavoratori protetti dalla disciplina che regola i licenziamenti, racchiusa nell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (legge 30 maggio 1970, n. 300). Dopo le battaglie di Maurizio Sacconi, ora il furore ideologico sembra trasfondersi nell’attuale governo e in ministri quali Elsa Fornero, che accusa i difensori di quella legge di adorare un totem.

Ma di cosa stiamo parlando? Ieri sera, intervistato da Corradino Mineo su “Rainews 24”, un onesto avvocato, Antonio D’Amati, esperto giuslavorista, ha messo i puntini sulle “i”, sottolineando quello che i giornali di destra o iperliberisti come il “Corriere” non dicono, creando la più grande mistificazione della verità di questi ultimi tempi. “Ma non è vero che oggi un imprenditore con più di 15 dipendenti non possa licenziare. Può farlo anche se acquista un nuovo macchinario destinato a sostituire alcuni operai. Può farlo se è in crisi o se il dipendente non ha più la sua fiducia”.

In realtà, ha precisato D’Amati, l’intera legge il cui articolo 18 si vuole colpire si intitola significativamente “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori” e bisognerebbe essere onesti ed affermare che non è tanto in ballo la questione del libero licenziamento ma “si vuole monetizzare proprio la libertà e la dignità dei lavoratori”; questo è il vero obiettivo dei falsi riformisti alla Sacconi e alla Ichino.

Ben pochi infatti, anche fra i più attenti esperti della materia, sottolineano quello che ha detto l’avvocato D’Amati. In Italia c’è la più totale libertà di licenziamento, solo che deve essere legata ad un fatto oggettivo o soggettivo. Ciò che l’articolo 18 fece nel lontano 1970 fu impedire quello che la dottrina giuridica chiama “licenziamento ad nutum”. Ad nutum, in latino significa “con un cenno”, indicando il dipendente, “Tu, via, fuori di qui!”, come succedeva nelle fabbriche e in ogni posto di lavoro, senza che il dipendente avesse fatto qualcosa di tale da dover essere licenziato. In altri termini, lo Statuto introdusse un metodo di civiltà nei rapporti di lavoro, togliendo all’imprenditore la libertà di licenziare la segretaria cinquantenne, soltanto perché è oramai vecchia anche se efficiente, per assumere una giovane ventenne da coltivare sulle proprie ginocchia o licenziare un dipendente bravo soltanto perché è antipatico o scorbutico, o magari iscritto ad un sindacato di sinistra. Questi sono i licenziamenti vietati dalla legge, mentre gli astuti ideologi “riformisti”, fino ad oggi, hanno fatto di tutto per convincere un’opinione pubblica distratta e poco informata che, al contrario, anche un dipendente che ruba la cassa aziendale non può essere licenziato per colpa dello Statuto dei lavoratori.

Ma c’è un’altra grande mistificazione che sorregge questi vergognosi tentativi per giustificare l’abrogazione dell’articolo 18 e consiste nell’asserire, con dottrina povera di dimostrazioni, che soltanto introducendo la libertà di licenziare gli imprenditori torneranno ad assumere. Ma qui sono gli stessi imprenditori a smentirli, anche se la loro voce, di solito urlata sui grandi mass media, in questo caso viene quasi silenziata: “Noi, per assumere, dobbiamo vedere che esiste una domanda di beni e servizi”. Capito? Loro non assumono se non hanno aspettative e non perché temono di doversi tenere sul groppone un dipendente per tutta la vita.

Infine, c’è una terza considerazione di ordine economico ed è questa. In un periodo di profonda recessione come quello attuale e di aspettative decrescenti, introdurre altri fattori di incertezza, quale indubbiamente una normativa che rende insicura una vasta platea di lavoratori dipendenti, non può che appesantire la crisi ed è di per sé frutto di ignoranza e di totale mancanza di accortezza. Come diceva un illuminato Diego Della Valle in una puntata di “Ballarò”: “Noi imprenditori ora abbiamo bisogno di iniezioni di sicurezza nei consumatori e non di crescenti incertezze sul futuro”.  Ma vai a farlo capire agli ideologi della destra e ai tecnici dell’attuale governo che soffrono degli stessi furori e coltivano lo stesso comune obiettivo: tagliare la testa ai sindacati, sognando la futura fabbrica di Marchionne, con gli uomini che si sono tramutati in capitale fisso, silenzioso ed efficiente.

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