La fretta di Renzi. La calma di Draghi

ROMA – È la seconda volta che, in pieno agosto, Mario Draghi suona la campanella di fine ricreazione per il governo italiano. La prima fu da governatore di Banca d’Italia. Con la lettera-ultimatum che lui e Trichet spedirono a Berlusconi il 5 agosto del 2011”. Lo scrive Andrea Bonanni su Repubblica.

Per il Sole24Ore il Presidente della BCE ha detto che “incertezza e troppe tasse hanno determinato il calo del PIL. Gli stati cedano sovranità”. Dunque “l’Italia faccia più riforme per sbloccare gli investimenti”. Un invito, non una minaccia. Per il Fatto invece: “Draghi sfiducia Renzi”. Né invito né sfiducia, per Corriere si è trattato di un “Richiamo di Draghi all’Italia”. E se la Stampa preferisce occuparsi d’altro in prima pagina, dagli scioperi Alitalia dopo l’accordo con Etihad, al boicottaggio russo di parmigiano e  prosciutto, fino alla fuga dei cristiani dal Califfato Islamico arrivato a Musul, Repubblica parla di “sferzata di Draghi: riforme insufficienti”. Poi, il premio di consolazione “Nasce il nuovo Senato”. 

Nell’articolo già citato Andrea Bonanni scrive “L’Europa non capisce le mancate privatizzazioni, il licenziamento del commissario alla spending review, il caos giustizia”. “Ora la partita su cui dovrà concentrarsi il governo italiano è quella sui modi di un parziale trasferimento di sovranità che appare comunque inevitabile. Se vogliamo evitare la troika, che si è rivelata efficace ma in alcuni casi socialmente traumatica, faremmo bene ad usare la presidenza del semestre europeo per promuovere nuove forme più morbide di condivisione della sovranità politica sulle riforme”.

E Renzi? Da cavallo di razza qual è, ieri s’è fatto invitare da la7, scegliendo di cavalcare sulla strada impervia indicata da Draghi. Riforme? Eccomi, sono pronto. “Non riceverò lettere. Farò una manovra di tagli alle spese”: 16 miliardi recuperati ci faranno restare sotto il 3 per cento nel rapporto deficit – PIL. Nonostante (come dice Altan) la madre della recessione è sempre incinta”. Poi si rivolge a Junker: “Bruxelles rifletta bene. Il rallentamento riguarda tutta l’Europa. Serve flessibilità dei conti pubblici”. 

Sì Matteo, è vero serve flessibilità, non è più tempo di rigore cieco. Ma tu intanto che fai? Mostri lo scalpo del Senato e rimandi tutto il resto? Ti ascolterò con attenzione se prenderai la parola, stamani, a Palazzo Madama e se mi sarà concesso, in 3 minuti, dirò la mia. Tuttavia è ormai evidente che del Senato all’Europa importa molto poco. Ed è autolesionista e persino grottesco che tu dica ai  retroscenisti: “Se non avessi avuto la riforma, mi sarei dimesso”. La trasformazione dell’Italia non può servire per appagare il tuo io, non può diventare un puntiglio del giovane premier. Dividere il mondo in chi ti dice sempre sì e in “gufi e sciacalli” è una cosa che si può forse permettere Grillo – anche se mi sembra che pure M5S abbia pagato un prezzo -,  certo è una postura che non si addice al Presidente del Consiglio dell’Italia e alla serietà della congiuntura europea. Così come – dovrebbe essere ormai  evidente – la logica degli accordi con Verdini e Calderoli per “asfaltare” un piccolo, seppur ostinato, dissenso interno al Pd, o i continui incontri con Berlusconi  per mettere al sicuro, con la legge elettorale il potere dei partiti, tutto ciò può finire in un abbraccio mortale.

Ancora da Repubblica, Enrico Moretti, docente di economia a Berkeley: “La crescita zero non è un caso , mancano legalità e innovazione”. Un buon premier deve saper ascoltare e dialogare, con pazienza, e poi decidere. E non sfidare, impuntarsi, insultare, andar sempre di fretta. A proposito, corro a Omnibus. A spiegare, con calma. 

Condividi sui social

Articoli correlati

Università

Poesia

Note fuori le righe