Un team internazionale di astronomi, tra cui ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, ha fatto una scoperta rivoluzionaria sulla formazione dei pianeti osservando il disco protoplanetario intorno alla stella AB Aurigae.
Utilizzando il radiotelescopio ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array), il più potente al mondo, hanno trovato prove che suggeriscono un meccanismo alternativo alla classica formazione planetaria.
Oltre al tradizionale processo di aggregazione di polveri interstellari, i pianeti potrebbero anche formarsi rapidamente dalla disgregazione del materiale che circonda le stelle giovani. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nature.
La teoria classica descrive la formazione planetaria come un processo “dal basso verso l’alto”, dove piccole particelle di polvere interstellare si aggregano gradualmente, passando da minuscoli granelli fino a pianeti di dimensioni notevoli nel corso di milioni di anni.
Tuttavia, c’è un’altra ipotesi, detta “top-down”, che prevede la formazione rapida di pianeti attraverso l’instabilità gravitazionale. In questo scenario, il materiale presente nei dischi di gas e polvere attorno a stelle giovani si frammenta in strutture a spirale, che successivamente si condensano in nuovi pianeti.
Il nuovo studio, guidato dall’Università di Victoria (Canada) in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, ha individuato diversi protopianeti in formazione nel disco di AB Aurigae, tra cui uno con una massa nove volte quella di Giove.
Questi protopianeti appaiono come ammassi all’interno di una struttura a spirale che ruota attorno alla stella, la quale ha una massa circa 2,4 volte quella del Sole ed è vecchia solo 4 milioni di anni. Questo dato è significativo perché il modello tradizionale di formazione planetaria richiederebbe più tempo di quello a disposizione del sistema.
Per indagare questo enigma, i ricercatori hanno sfruttato la potenza di ALMA per analizzare il movimento del gas nei bracci a spirale del disco. “Il nostro gruppo studia da anni la fisica dei dischi gravitazionalmente instabili tramite modelli teorici e simulazioni avanzate”, spiega il professor Giuseppe Lodato dell’Università di Milano.
Le simulazioni indicano che l’instabilità gravitazionale dovrebbe produrre specifiche oscillazioni nella velocità del disco, distinguibili rispetto a quelle dei dischi stabili. Le osservazioni di ALMA hanno confermato queste previsioni.
Il team ha utilizzato ALMA per mappare la velocità di due isotopologhi dell’ossido di carbonio (13CO e C18O) nel disco di AB Aurigae, trovando chiara evidenza delle oscillazioni previste.
“I bracci a spirale si formano quando il rapporto tra la massa del disco e quella della stella è elevato. Le variazioni di densità in queste strutture influenzano la gravità, modificando la velocità del gas”, spiega Cristiano Longarini, ricercatore dell’Università di Cambridge, che ha sviluppato un modello teorico per spiegare queste oscillazioni.
Questa scoperta rappresenta una prova osservativa diretta della formazione planetaria attraverso l’instabilità gravitazionale, un metodo “top-down”. Le osservazioni interferometriche di ALMA hanno permesso di ottenere un “cubo di dati” tridimensionale che mappa la velocità e la posizione del gas nel disco, fornendo un chiaro segnale di instabilità gravitazionale.
La sensibilità e l’alta risoluzione di ALMA sono state fondamentali per questo risultato. “Abbiamo condotto una delle osservazioni più profonde mai fatte su un singolo disco protoplanetario”, afferma Jessica Speedie, dottoranda dell’Università di Victoria e prima autrice dello studio. “È una classica storia di scienza: lo abbiamo previsto e poi lo abbiamo trovato”.
La ricerca è stata sostenuta anche dal progetto europeo “Dustbusters”, finanziato dall’Unione Europea nell’ambito di Horizon 2020 e coordinato dal professor Lodato.