Steve Jobs. Film coraggioso e non agiografico. Recensione

ROMA – “Steve Jobs, un maniaco del controllo, incapace di superare il trauma della propria adozione”.

È così che il padre del Macintosh appare nel coraggioso biopic di Danny Boyle, il regista americano, premio Oscar nel 2008, con “The Millionaire”.  Il biopic, osteggiato dalla famiglia del fondatore della Apple Inc. è stato ispirato alla biografia ufficiale “Steve Jobs” di Walter Isaacson, incaricato da Jobs in persona, prima di morire. Per Danny Boyle, era necessario comunque, proseguire in questo progetto ambizioso che rappresenta “più di una biografia, essendo il film diviso in tre capitoli, che corrispondono a tre epoche differenti: 1984-1994 -1998, dalla nascita dell’Apple Inc., all’ascesa del mito”.  “Abbiamo evitato di parlare dello strazio della malattia e della morte, tenendo fuori dal racconto la vedova Laurene Powell e gli altri figli, rispettando la loro volontà”. 

E’ merito dello sceneggiatore, Aaron Sorkin, premio Oscar per The Social Network, lo stile avvincente e ritmato degli script che riesce a tenere alta l’attenzione dello spettatore, nonostante la scelta di un’unica ambientazione. Tutte e tre i capitoli sono, infatti, ambientati nel backstage dei teatri, pochi minuti prima del lancio dei nuovi prodotti: il Macintosh, il cubo di Next e l’iMac. Un unico scenario, per tre epoche, in uno stile teatrale, che lascia però spazio ai flashback e alle riflessioni di Jobs sulla propria vita. Sotto la lente di ingrandimento, il rapporto controverso con sua figlia Lisa, nata dalla relazione con la pittrice californiana Chris Ann Brennan nel 1978, ma riconosciuta soltanto nell’86. “La paternità ha tirato fuori il peggio di te” esclama Joanna Hoffman, la sua assistente personale in un momento di nervosismo, interpretata da un’eccezionale Kate Winslet. La paternità ha innescato in lui, i ricordi dolorosi sulla sua adozione, il trauma di non aver conosciuto i genitori biologici e l’incubo di non essere stato mai amato.  Un film freudiano, che cerca di gettare luce sul perché dell’intrattabilità di Jobs – celebre il premio satirico annuale istituito tra i dipendenti per chi riusciva a sopportarlo – ed enfatizza anche la sua umanità: l’amore controverso per la figlia, la necessità del sostegno della sua assistente, l’istinto di protezione verso il suo ex socio, Steve Wozniack (“Un uomo deve proteggere i più deboli e io sempre lo proteggerò”, esclama il protagonista).

Un cast strepitoso: a pari merito per la mirabile performance Michael Fassbender, talento istrionico, capace di immedesimarsi profondamente nella personalità di Jobs, tanto da imitarne le idiosincrasie e la bravissima Kate Winslet, nei panni di Joanna Hoffmann, la cosiddetta “lady di ferro”, l’unica capace di tenergli testa.

Convincente anche Seth Roger, che interpreta più che dignitosamente l’informatico Steve Wozniack, geniale co-fondatore di Apple, dall’aria naif e il temperamento polemico.

“Non elogio e non critico Steve Jobs: è stato un pioniere del nostro secolo. E per questo trovo giusto che la sua vita sia conosciuta dalle giovani generazioni”, conclude il regista. 

Intanto, negli Usa, il film si è rivelato un flop, non sarà forse per il patriottismo tutto americano, che non vede di buon occhio chi intacca il mito dei propri “self made man” ? Al pubblico europeo, l’ardua sentenza: l’appuntamento al 21 gennaio. 

Steve Jobs, 122’ nelle sale dal 21 gennaio 2016

di Danny Boyle 

Con Seth Roger, Michael Fassbender, Jeff Daniels, Michael Stuhbarg, Kate Winslet

Distribuzione: Universal Pictures

Steve Jobs – Trailer

 

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