“Miryam e Yosep”: la storia dei genitori di Gesù raccontata da Paolo Ballardini, attento conoscitore del mondo e delle culture di ogni dove

ROMA – Tra le novità editoriali, spicca il romanzo di narrativa religiosa “Miryam e Yosep – Il romanzo della natività” di Paolo Ballardini: «uno scrittore e un viaggiatore», come ama definirsi.

Il suo romanzo ha in breve tempo scalato le classifiche di gradimento e vendita di Amazon, la piattaforma web dove è disponibile, grazie all’accuratezza dei particolari e all’intensità della scrittura, che agilmente immerge il lettore in un’epoca ancora del tutto sconosciuta, quella che precede la Nascita di Cristo, in Medio Oriente.

Una terra che rappresenta la culla della civiltà moderna, caratterizzata, all’epoca, dal dominio romano e da un multiculturalismo ancestrale e a tratti ignoto. Per saperne di più, ne parliamo direttamente con l’autore.

Dott. Ballardini, si evince sin dalle prime pagine del suo libro, una scrupolosa attenzione alla veridicità storiografica: su quali fonti si è basato per la stesura di “Miryam e Yosep”?

Miryam e Yosep. Il romanzo della Nativitàè, appunto, un romanzo e dunque un’opera di finzione, senza pretese storiche o teologiche. Il mio racconto è solo uno degli infiniti modi in cui le vicende dei genitori di Gesù potrebbero essersi svolte. Eppure, dopo averlo scritto, mi sono ritrovato con cinquemila pagine di note, trascrizioni e riferimenti. Per completarlo, mi sono immerso nella storiografia cristiana: Vangeli canonici, apocrifi cristiani, e letteratura paleocristiana, oltre alla critica accademica che li interpreta. E inoltre mi sono documentato sull’ebraismo del I secolo D.C, dato che la letteratura cristiana delle origini offriva un’immagine frammentaria del predicatore, esorcista e guaritore che visse nella Galilea romana, della sua famiglia e dei suoi discepoli. E mi sono confrontato anche con il mondo accademico che tende a riconoscere la storicità di Gesù – Yeshu’a in Aramaico, la lingua parlata al tempo in Samaria e Giudea – ma, soprattutto, le intenzioni apologetiche e teologiche nei racconti che precedono l’inizio della sua predicazione: annunciazione, natività e infanzia. La tradizione ebraica è invece molto articolata, documentata e meno controversa e offre una base solida per delineare i profili personali di Miryam e Yosep: i protagonisti del mio romanzo.

Nel suo romanzo, Maria non è “La Vergine”, non essendo più casta: qual è il motivo alla base di questa scelta narrativa?

In “Miryam e Yosep”, il lettore segue e accompagna la trasformazione di Miryam, da ragazzina ingenua e sognatrice a moglie e madre responsabile. La sua evoluzione avviene in accordo con i tempi e la tradizione ebraica dell’epoca, della quale Miryam e Yosep furono osservanti. Nella tradizione ebraica (raccolta nella Tanakh, che il Cristianesimo riprende con il nome di Antico Testamento), la richiesta più pressante di Dio è quella di avere quanti più figli possibili. Lo aveva ordinato ad Adamo ed Eva, lo aveva ripetuto a Noè, il secondo primo uomo e con grande enfasi lo aveva ribadito ad Abramo, l’uomo con cui stabilì il Patto. Isacco lo aveva raccomandato al figlio Giacobbe e Dio lo aveva ripetuto anche a lui. L’intera Bibbia è permeata da questo concetto e con ogni probabilità fu l’idea centrale alla base dell’educazione di Miryam e Yosep. I vangeli apocrifi stessi parlano esplicitamente dei sei fratelli di Gesù (Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda e delle due sorelle, che sappiamo solo che siano esistite) e persino San Paolo parla di Giacomo: “il fratello di Gesù secondo la carne”. Il dogma della verginità di Maria è stato introdotto solo nel V secolo D.C a seguito di un dibattito interno alla Chiesa.   

Che cosa ha ispirato la genesi del suo romanzo?

Ho ricevuto un’educazione cristiana e provo un grande interesse per la cultura ebraica: la genesi del romanzo, però, è stata buffa e inaspettata. Le racconto il curioso aneddoto: per lavoro, dovetti partecipare a una spedizione polare su un rompighiaccio russo e condivisi la cabina con un ex-colonnello dell’Armata Rossa. Costui era cresciuto nell’atea ex URSS e mi chiese (in francese) di spiegargli chiaramente l’origine del cristianesimo: aveva sempre sentito parlare di Gesù, ma mai in un modo che gli permettesse di farsene un’idea definitiva. Pertanto, mi trovai a raccontare, in sintesi, quanto era stato scritto nei Vangeli e la mia intera visione dei fatti. Mentre ne parlavo, mi resi conto che quella era una storia che valeva la pena raccontare in un libro. Poi, dopo molta ricerca, ne sono usciti un romanzo e un saggio. 

Che cosa rende questo romanzo il suo “preferito”? 

Ho già scritto una decina di pubblicazioni, tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, una fiaba e molti articoli. Scrivendo si cresce: l’ultima opera ( “Miryam e Yosep” appunto) è quella dove si concentra quanto si è imparato nelle precedenti ed è letterariamente “la migliore”. Soltanto un’altra volta, per “Due uomini”, mi dedicai a una ricerca così approfondita: un romanzo ambientato in una valle dell’Appennino durante il periodo fascista, della resistenza partigiana e dell’immediato dopoguerra. 

Che cosa di lei, del suo modo di essere e di pensare, ha trasferito nel romanzo?

Uno scrittore onesto mette se stesso in ogni opera. Il suo pensiero traspare dalla prospettiva cui sceglie di raccontare un argomento, dai dialoghi elaborati per i personaggi, dal modo in cui descrive luoghi e circostanze. La neutralità non esiste, scrivere è già prendere posizione. In “Miryam e Yosep” ho messo molto di mio. Tra l’altro, qui ho la possibilità di citare la passione per le origini del pensiero umano. I protagonisti, infatti, si formano sugli insegnamenti religiosi del tempo: era per loro l’unica chiave d’interpretazione degli eventi del mondo. Ma la loro tradizione, cioè la Bibbia, narra storie antichissime, concepite in culture da tempo scomparse. La storia di Noè, per esempio, ci arriva, quasi parola per parola, dalla letteratura sumera e accadica di due millenni prima; il mito della creazione ebraico-cristiano trova fondamentali riscontri nei miti di creazione fenici e mesopotamici. Anche l’episodio di Gesù nel Tempio ( il celebre racconto di quando dodicenne, all’insaputa dei genitori, si fermò al Tempio per intrattenersi con i Dottori della Legge a Gerusalemme), ha un precedente ben documentato nella letteratura egizia del Regno Medio; mentre la concezione verginale di Maria è stata attribuita a dee di diverse religioni, e compare persino nei miti di nascita di alcuni personaggi storici, per esempio Alessandro Magno e Ottaviano Augusto.

Ha già in cantiere un altro romanzo che prosegua nel narrare le gesta di Yeshu’a o di altro genere?

Per il momento, sto dedicando ogni risorsa a preparare l’edizione americana di “Miryam e Yosep- Il romanzo della Natività”. Essendo un viaggiatore, ho in programma la raccolta definitiva delle mie esperienze di viaggio, che uscirà nel 2024. Ho inoltre altre due opere che attendono d’essere completate. Nel mio prossimo romanzo racconterò, invece, una storia connessa alla distruzione di Piuro, il mio villaggio ancestrale, che Piero Angela definì la “Pompei delle Alpi”, avvenuta il 4 settembre 1618. Questo implicherà un’immersione totale nel mondo del XVII sec, nello studio della Controriforma, del cattolicesimo spagnolo, dell’Inquisizione e dei miti pagani della stregoneria. Ci vorrà ancora un po’ prima che il romanzo veda la luce.

A chi consiglierebbe il suo romanzo “Miryam e Yosep”?

Lo consiglio a tutte le persone che apprezzano un approccio veritiero in ciò che leggono. In “Miryam e Yosep – Il romanzo della natività”, mi impegno a trasformare il lettore in un personaggio antico, contemporaneo ai protagonisti, contrariamente a quanto avviene nei film di Hollywood, dove sono i protagonisti del racconto ad essere “riadattati” in uomini e donne moderni.

Come si definirebbe in breve?

“Scrittore e viaggiatore”, così com’è trascritto sul mio biglietto da visita. Ho vissuto in alcune capitali europee e dell’America Latina, e a New York. Da decenni viaggio in luoghi remoti e scomodi: viaggiare ha moltiplicato l’intensità della mia vita.

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