Terremoto in Emilia. Dopo 24 ore, la terra trema ancora

RAVENNA – Per trenta, lunghissimi, interminabili secondi, alle ore 4 e 5 minuti di domenica 20 maggio, tutta l’Emilia-Romagna ha tremato. Un terremoto di magnitudo 6, con epicentro tra le province di Modena e Ferrara, ha sconvolto la vita di migliaia di persone e ha messo in allarme un’intera Regione che – fino a quel momento – si considerava immune da tali fenomeni.

Quella scossa, avvertita distintamente fino a Ravenna e Forlì, pur nella paura e nella nuova consapevolezza di fragilità, è riuscita, però, a dare un senso, nella testa degli emiliano-romagnoli, a tutti gli sforzi di oltre un ventennio nella cura del territorio e nelle opere di prevenzione sia sul versante del dissesto idrogeologico che sul rischio sismico, fino al 2003 considerato basso e minimale.

Quei crolli, per quanto di inestimabile valore, del solo patrimonio storico-artistico, con la sostanziale tenuta del complesso abitativo privato, testimoniano la validità delle procedure attuate e forniscono una valida giustificazione alle regole e ai controlli operati dalle istituzioni locali su tutta la materia edilizia.
Non solo Piano Regolatore, dunque, ma regole certe e verificabili addirittura per la costruzione di “gazebo” e “pergolati” che oggi, da forme di “lacci e laccioli alla libera iniziativa”, possono senz’altro essere letti come una “benedizione” rispetto al bilancio di morti e feriti che, in altre parti d’Italia, con altri “governanti”, con la stessa intensità del sisma, ha provocato lutti e distruzioni ben più ampi dei 7 morti e 50 feriti del terremoto emiliano.

Resta, ovviamente, l’amaro in bocca per i 4 operai, morti proprio nel giorno del 42° anniversario dell’approvazione dello Statuto dei Lavoratori. È, però, sintomatico che più del 50 per cento dei decessi sia avvenuto in territorio extra civile, in un luogo dove ormai da 20 anni, le leggi, i regolamenti, la stessa Costituzione, in nome della “globalizzazione”, si fermano ai cancelli delle fabbriche anche qui, nella ricca, opulenta e organizzata Emilia-Romagna.

Muoiono 4 operai sotto capannoni – costruiti prima del 2003 – quando ancora i vincoli sismici erano minori e non presidiati appieno. Muoiono perchè addetti ad un turno di notte forse troppo sottodimensionato. Ma, ancora, muoiono perché lasciati soli a difendersi da un’inflazione che morde, una crisi che mette paura e costringe – per “amore o per forza” – a cedere al ricatto del “lavorare a tutti i costi e in tutte le condizioni”.

Ancor di più, infine, resta l’amaro in bocca nell’apprendere che due di loro, a condizioni pensionistiche invariate, sarebbero già stati posti in quiescenza. Chiamalo destino o fatalità ma, a volte, il caso fa la sua differenza.

Intanto, ancora la notte scorse da Finale Emilia a Forlì siamo rimasti svegli: chi in strada e chi, come noi ravennati, più “fortunati”, al caldo delle nostre case. Comunque, la terra ha tremato, almeno le scosse di cui ci siamo accorti, ancora 4 volte, anche se i sismologi parlano di oltre trenta scosse, comprese tra magnitudo 3 e 4. La più forte, di magnitudo 4, alle 1 e 4 minuti, con epicentro in una zona compresa tra Vigarano Mainarda, Mirabello, Poggio Renatico e Bondeno in provincia di Ferrara.

La protezione civile, nel frattempo, fa il suo lavoro e per la nottata di oggi, ha predisposto, cinque campi pronti ad accogliere – tra sfollati e cittadini impauriti – molte più delle 3 mila persone fuori di casa che, nel frattempo, sono assaliti dall’ennesimo “rovello” istillato da un Governo “sollecito” e “attento” ai bisogni dei cittadini.

Il terremoto che ha colpito l’Emilia-Romagna, infatti, è avvenuto a pochi giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del D.L. 59 che riforma la Protezione Civile.
Il testo prevede che le ristrutturazioni dei fabbricati colpiti da calamità naturali non saranno più a carico dello Stato e che, a dover far fronte alle spese, sarà il privato che dovrà pagare i danni stipulando polizze assicurative volontarie.

Ora, stante che il decreto prevede un regime transitorio – anche a fini sperimentali e la necessità di emanare un regolamento entro 90 giorni dalla pubblicazione del testo, con agevolazioni fiscali per chi si assicura contro le calamità – non è ancora certo se gli emiliani saranno i primi “fortunati” ad avere a che fare, oltre che con la “tassa sulla disgrazia” (l’innalzamento regionale, fino a un massimo di cinque centesimi, delle accise sulla benzina) anche con l’autofinanziamento della ricostruzione.

Fortunatamente, gli emiliano-romagnoli sono gente ruvida e abituata a “far da se”. Consiglio, comunque, per esperienza diretta, di non abusare della loro pazienza: sono imprevedibili.

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