Roberta Lanzino, dopo 23 anni, una morte per stupro senza colpevoli

UTIMORA – «Dopo 23 anni, nel nome di Roberta non abbassiamo la guardia»

Una messa, promossa come ogni anno dalla famiglia e dalla Fondazione “Roberta Lanzino”, ha ricordato ieri, nella chiesa di S.Antonio a Rende, la tragica morte della diciannovenne stuprata ed uccisa il 26 luglio 1988, che dopo 23 anni, non ha ancora colpevoli. «Questa è una giornata per ricordare non per celebrare-hanno detto i genitori di Roberta, Franco e Matilde Lanzino-.Non bisogna mai abbassare la guardia ed operando in silenzio confermiamo la nostra fiducia nella magistratura. Nel nome di Roberta, apriremo dopo Cosenza e Polistena, a Praia a Mare, sul Tirreno, un altro centro di ascolto per contribuire ad evitare altre storie di drammi. La Fondazione di Roberta è figlia di una assurdità, ma i suoi frutti sono storie di speranze e di vite rinnovate». La grande compostezza, nel dolore, dei signori Lanzino, della sorella Marilena e di quanti l’hanno conosciuta, rinnova la richiesta di giustizia per una morte ancora senza colpevoli


COSENZA – Un mistero irrisolto lungo 23 anni. È quello che avvolge Roberta Lanzino, la giovane di 19 anni di Rende, in provincia di Cosenza, che il 26 luglio 1988, quando, sulla strada per il mare, dove si sta recando in motorino, seguita a breve distanza dai genitori che si fermano per brevi soste impreviste, viene selvaggiamente aggredita, seviziata, violentata ed uccisa. Roberta muore, per un taglio alla gola: le spalline, conficcate nella bocca, certo per attutire il suo urlo di dolore; almeno cinquanta ferite e una caviglia slogata: il suo vano tentativo di sfuggire alla furia delle bestie umane. E sul suo corpo, l’impronta biologica degli assassini, quel liquido seminale, testimonianza di una violenza connotata.

 

Una messa promossa, come ogni anno, dalla famiglia e dalla Fondazione “Roberta Lanzino” ne ricorda oggi ancora la ferita completamente aperta. Dopo 23 anni, non c’è nessun colpevole. Inizialmente erano stati indicati, quali responsabili dell’omicidio, tre cugini di Falconara Albanese, poi ritenuti estranei al fatto. Lo Stato ha in prima istanza assolto. Non per assenza di indizi, ma perché la scienza investigativa, che ha il compito di elevare alla dignità di prova gli indizi raccolti, si è dimostrata «inadeguata, improfessionale, incapace», come apertamente dichiara la stessa sentenza di assoluzione.
Dopo 20 anni, le indagini sono state clamorosamente riaperte con la chiamata in causa di tre pastori di Cerisano (CS), ora sotto processo davanti alla Corte di Assise di Cosenza. Si tratta di Franco Sansone, presunto esecutore materiale insieme allo scomparso Luigi Carbone, il padre Alfredo e il figlio Remo. Gli ultimi due, a detta dell’accusa, avrebbero aiutato Franco ad uccidere Carbone per evitare che raccontasse la verità sul caso Lanzino.
Il processo, in corso proprio nei giorni scorsi ha subito un brusco stop, a causa delle condizioni di salute di Francesco Sansone, con la Corte che, riconoscendo il legittimo impedimento, ha rinviato il dibattimento al prossimo 3 ottobre. Una storia che prevede tempi lunghi, un dramma infinito per una famiglia che chiede solo di conoscere la verità sulla morte della loro figlia che oggi avrebbe 42 anni.

La Fondazione “Roberta Lanzino” nata da quella tragedia, e voluta fortemente dai genitori, assume nel tempo significati sempre più decisi e simbolicamente forti a sostegno delle donne vittime di maltrattamenti fisici e psicologici come nel caso dello stalking.

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