Spari a Palazzo Chigi. Troppo facile parlare di uno squilibrato

ROMA – Immagini assurde, drammatiche, un autore horror non sarebbe mai arrivato a tanto. Da una parte il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, ministri che giurano lealtà alla Costituzione dall’altra, improvvise, le immagini di un attentato davanti a Palazzo Chigi.

Non si capisce ancora bene cosa sia accaduto, si parla di due carabinieri feriti, uno grave che si intravede per terra. La cronista della Rai che si trovava nella piazza in attesa che Enrico Letta e i ministri facessero il loro ingresso, ancora visibilmente emozionate, racconta. Dice di aver sentito colpi di pistola,ha visto una persona, un carabiniere o un poliziotto accasciarsi a terra, sente ancora spari. Arrivano le ambulanze, si fa sgombrare la piazza. Arrivano le prime notizie: Chi ha sparato, anche lui ferito perché un carabiniere avrebbe reagito ai colpi, viene arrestato. Si tratta di un un individuo ben vestito che si sarebbe avvicinato tranquillamente per poi esplodere sei sette colpi. La cronista sii trovava all’ingresso del palazzo. Nella sala del Quirinale le immagini  ci inviavano volti sorridenti, strette di mano, la cerimonia del giuramento dei ministri proseguiva. Nessuno aveva avvertito Napolitano, Letta, tutti gli altri presenti. Solo quando la cerimonia è terminata e la piccola folla si è diretta verso la sala delle  feste  è stata data la notizia. Alcuni ministri sono rimasti con il Capo dello Stato, altri si sono diretti a Palazzo Chigi. Il consiglio dei ministri viene spostato di qualche ora. Non è stato davvero un inizio fortunato quello di Enrico Letta. Neppure un attimo di respiro per il presidente del Consiglio. Neppure un momento in cui godersi in pace i risultati di un lavoro molto difficile quale è stato quello della formazione del governo.

Neppure un momento in cui leggere i commenti dei giornali, le interviste rilasciate da esponenti dei partiti. Il primo consiglio dei ministri si trova di fronte ad un fatto di sangue, gravissimo, un attentato, qualsiasi sia  il motivo che ha spinto questo individuo  a sparare, un uomo, sottolineano le cronache in giacca e cravatta. Ma questa parola non chiarisce niente. L’uomo quando ha attraversato la piazza era in stato di perfetta lucidità, nessuno ha fatto caso a questa persona. Si è avvicinato ai carabinieri, ha estratta la pistola ed ha sparato. Troppe volte, ormai ci siamo abituati, quando si sono verificati attentato di questo tipo si è parlato di squilibrati. Anche in questa drammatica occasione, questa parola è stata fatta subito circolare. Non si sa bene chi l’abbia messa incircolazione. Non solo: cosa vuol dire squilibrato? Si tratta di uno improvvisamente impazzito? Dopo gli spari voleva suicidarsi? La verità è molto diversa. Luigi Preiti era arrivato a Roma sabato, aveva alloggiato in un albergo, il suo obiettivo, come lui stesso ha confessato agli investigatori erano i politici. Quando si è reso conto che non era possibile raggiungerne alcuno, ha scaricato la sua pistola contro i carabinieri. Chi lo conosce, suo fratello, la sua ex moglie, dicono che “non é uno squilibrato, non  è un malato mentale, non è un terrorista, ma un bravo lavoratore, un ragazzo intelligente, in gamba”. Si è mosso con assoluta lucidità, la lucidità di drammi sociali che sconvolgono la vita delle persone. Non sono squilibrati coloro che ricorrono a gesti estremi, si uccidono i lavoratori che restano disoccupati, imprenditori che falliscono. Non trovano altra via di uscita alla disperazione, alla rabbia, che il suicidio. Oppure prendono di mira chi ritengono causa delle loro disgrazie. Il magistrato che ha interrogato Preiti dice:”E’ un uomo pieno di problemi che ha perso il lavoro, aveva perso tutto, era dovuto ritornare in famiglia. Era disperato. In generale voleva sparare sui politici, ma visto che non li poteva raggiungere ha sparato sui carabinieri”. Su questa frase dobbiamo riflettere tutti. In primo luogo i politici, non usando più questa parola “squilibrato” che Basaglia non avrebbe mai voluto sentir pronunciare. E che in fondo ci scarica da ogni responsabilità. 

Alessandro Cardulli

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