Il carcere al centro del Salone del Libro di Torino: un’opportunità di rinascita

Dal Conte di Montecristo a Silvio Pellico, da Gramsci a Wilde, passando per l’ora di libertà di De André: l’intera storia della nostra letteratura e della nostra cultura è permeata da suggestioni, riflessioni, sofferenze e privazioni suscitate dal carcere.

Carcere come restrizione fisica e psicologica, carcere come privazione, come negazione della libertà, carcere come punizione, come rieducazione sociale, a volte come ingiustizia. Ma anche carcere inteso come introspezione, come studio, come riflessione, come ricerca di sé, come ricerca di una giustizia sociale assente anche e soprattutto fuori dalle mura della cella.

Le metafore, le similitudini, le impressioni suscitate dalla sfera semantica legata al carcere sono potenti e vaste, forse perché da sempre ci interroghiamo sulla libertà, sul suo significato, sulla sua forza e sulla sua assenza.

Tutto questo enorme bagaglio di emozioni e interrogativi è oggi al centro di un’esperienza, tra la sfida, la provocazione e la performance, che è stata proposta al Salone del Libro di Torino. Dal 18 al 21 maggio il quotidiano “Il Dubbio” e il Consiglio nazionale forense hanno allestito una vera e propria cella, all’interno della manifestazione, per far provare ai visitatori l’autentica esperienza della vita in carcere, in uno spazio angusto, cupo, claustrofobico, con tute le limitazionie le condizioni di vita tipiche di un ambiente penitenziario.

Obiettivo dichiarato di tale esperienza è promuovere la consapevolezza, sensibilizzare e incentrare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle condizioni drammatiche del sistema carcerario nel nostro Paese, delle condizioni di vita precarie all’interno degli istituti di pena, tra sovraffollamento, strutture fatiscenti, spazi totalmente inadeguati. Non è un caso, denunciano gli organizzatori, se ogni anno aumentano i suicidi, non solo tra i detenuti (84 si sono tolti la vita nel 2022), ma anche tra gli agenti penitenziari, altra faccia della medaglia di questa storia di degrado e solitudine.

Una denuncia necessaria, per affrontare con urgenza un problema capace di qualificare il grado di civiltà di un Paese, misurandone la democrazia, il rispetto della vita e la capacità di dare prospettive ai suoi cittadini.

Così, se da un lato i visitatori del Salone del Libro vengono perquisiti e reclusi per alcuni minuti, sottoposti ai rumori sinistri, all’angoscia della ristrettezza degli spazi vitali e dell’insopportabile luce artificiale, a qualche chilometro di distanza, a Genova, un vero carcere si riempie di colore e di vita, diventanto scenario di una importante mostra.

Nel Teatro dell’Arca del Carcere di Marassi sono esposte infatti, fino al 29 maggio, 15 opere originali di Keith Haring. Un evento organizzato dall’associazione culturale Teatro Necessario Onlus, in collaborazione con ELV Culture of Innovatione patrocinato dal Comune di Genova e dalla Regione Liguria. la scelta del carcere come spazio espositivo esprime il tentativo di coniugare il linguaggio dell’arte e quello della performance, in un binomio fatto di tanti contrasti e molte armonie.

La scelta dell’artista, tra gli emblemi più noti della cultura pop, non è poi casuale. Lui, capace di portare l’arte a tutti, per tutti, nei luoghi più inaspettati e inusuali.

L’artista degli ultimi, dei malati, della critica al pensiero totalizzante main stream, che ritraeva in un vortice di colori e forme così vicine, intricate, solo all’apparenza ingenue e infantili, ma in realtà dissacranti. Opere che rappresentano le molteplici sfumature di una società complessa e piena di contraddizioni, in cui la lotta per i diritti civili si faceva spazio anche grazie a una nuova sensibilità espressa da artisti capaci di aprire nuovi spazi di discussione e di contestazione.

Proprio le opere di Haring, oggetto di questa ricerca e di questa denuncia, sono illustrate, spiegate e raccontate dai detenuti del carcere. Questi ultimi stanno realizzando anche un enorme murales sul muro di cinta dell’istituto con il coordinamento dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, in un percorso di creatività e liberazione capace di far intravedere qualche speranza verso un nuovo modello carcerario: inclusivo, stimolante, in grado di aprire prospettive e percorsi di crescita.

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