Storie vere di gatti veri. Lettera aperta a un gatto nero

Caro Cosimo,

forse non lo sai, un po’ perché sei un gatto, poi perché sei appena nato, troppo piccolo per sapere certe cose, ma tu hai un nome importante: Cosimo de’ Medici, un famoso banchiere, non come quelli di oggi, che fece ricca e potente la Firenze del Trecento. Cosimo Piovasco di Rondò, invece, è un personaggio letterario: il nobiluomo protagonista di un famoso romanzo di Italo Calvino, Il barone rampante, ambientato negli anni della Rivoluzione Francese. 

”Nomen omen” dicevano i Latini, il destino ce l’hai nel nome. Quindi tu, mio caro Cosimo, venuto alla luce in un luogo importante come l’Emilia-Romagna, una delle più belle regioni d’Italia, nell’epoca della rivoluzione telematica, hai nel nome il destino di un gatto con un titolo nobiliare: potresti arricchirti a dismisura come un moderno banchiere o limitarti a salire sugli alberi come ti ha insegnato il tuo coinquilino bipede, o imparare ad usare il computer, comunque puoi diventare qualcuno. L’importante è crederci.

 Intanto, sappi che arrampicarsi sugli alberi è una specialità dei gatti nella quale anche tu dovrai eccellere. C’è perfino un modo di dire che lo attesta. Di uno che crede di sapere solo lui anche le cose più ovvie e dà consigli a tutti si dice: “Vedi quello? Vuole insegnare ad un gatto a salire sugli alberi”. Tu comunque impara l’arte e mettila da parte. 

Per continuare con i proverbi, se senti la frase “Non c’è trippa pe’ gatti”, per dire che sono finite anche le cose indispensabili, è perché nella Roma dei Papi un’ordinanza pontificia imponeva ai macellai di dare gratis un po’ di trippa alle vecchine caritatevoli, le prime “gattare” della storia, che portavano da mangiare ai gatti sparsi fra i ruderi (e fra quelli c’erano gli antenati di “Romeo, er mejo gatto del Colosseo”, ma questo è un famoso cartone animato che dovresti cercare su Internet). 

Fu così fino a quando il nuovo governatore di Roma per ridurre le spese capitoline annullò l’ordinanza papale e da allora non ci fu più trippa gratis per nessuno.

Ma non dimenticare che un gatto nero in Italia deve stare attento più che all’estero, perché qui da noi abbondano gli stupidi, come quelli che dicono che il coronavirus non esiste e poi finiscono in terapia intensiva e come niente ci lasciano le penne. (Quelli così Alessandro Manzoni li aveva già adocchiati e nei Promessi sposi aveva descritto il personaggio di don Ferrante, nobiluomo a suo modo coltissimo, che durante la peste di Milano del 1630 negò l’esistenza dell’epidemia, non prese nessuna precauzione e di peste morì maledicendo le stelle che secondo lui erano state la causa di tutto). 

Da noi abbondano i soliti stupidi che sono vittime della superstizione secondo la quale il gatto nero porta male, e dicono che se ti attraversa la strada ti devi fermare e far passare un altro prima di te o fare un giro più largo, evitando però di passare sotto una scala a pioli appoggiata al muro, ché anche quella porta male. Da gatto nero che vive fra gli italiani, un popolo superstizioso come pochi altri, è bene che tu sappia queste cose perché ti riguardano da vicino.

Da noi, sui gatti non necessariamente neri, sopravvivono credenze medievali assurde come quella di impersonare addirittura il Maligno. Poi ci sono i proverbi: “Il gatto ha mille vite”, non è vero, ne ha una sola come tutti e se la deve tenere da conto. Oppure: “Il gatto si affeziona più alla casa che al padrone”.    Non è così, semmai va detto che il gatto non ama avere padroni, è indipendente più dei cani, dei cavalli, dei conigli, dei polli, dei criceti e degli altri animali domestici che riempiono le case. 

    Un altro proverbio da tenere presente: di una cosa che non durerà a lungo si dice “come un gatto sull’Aurelia”, prendendo la statale numero 1 che parte da Roma diretta al nord come l’inevitabile tomba dei gatti che osano attraversarla (c’è perfino un film, Come un gatto in tangenziale, che è una specie di via consolare in periferia, ugualmente cimitero dei gatti di città che provano ad attraversarla). 

 Ma tu, caro Cosimo, autostrade e tangenziali non le frequentare, rimani nel tuo mondo fatato dove l’unico rischio che corri è quello di saltare sulla stufa rovente o di cadere da un albero, come il barone rampante di cui porti l’importante nome. Se poi imparerai a leggere ti aspettano tante belle favole, come quella sul Gatto con gli stivali che era capace di compiere imprese mirabolanti.

Sei stato fortunato: il bipede che ti ha portato a casa sua è un ottimo compagno di vita. Non ti farà mancare mai nulla: vitto, alloggio, generi di conforto, assistenza medica. Se qualche volta ti lascerà solo in casa sarà perché deve correre a trovare gli altri cuccioli che ti hanno preceduto. 

 Sono due, oggi due ragazze grandi e grosse, ma quando arrivarono erano piccole come te, si sono fatte voler bene, e quando crescendo hanno preso il volo seguendo la loro strada che le ha portate lontano, non hanno certo dimenticato quel papà amoroso che adesso tu hai conosciuto come messer Francesco. 

Anche lui ha un bel nome: glielo ha messo la sua mamma che ha voluto così onorare suo padre, un militare che in guerra non ha avuto molti onori ma in pace non gli sono mancati i dolori. Nonno Chicchi, così lo chiamavano, amava i cani più che i gatti, ne aveva tre bellissimi da caccia, di grande razza, avevano tutti e tre nomi che cominciavano con la elle. E’ morto da tanti anni, se ci fosse ancora anche a te avrebbe messo un nome con la elle, che so? Lupo o Lulù. Meglio Cosimo, indubbiamente.

Da “12 storie vere di gatti veri” di Sandro Marucci edizioni La Quercia 2024

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