Nella mansarda all’ultimo piano di un palazzo della periferia nord della grande città, dalla quale un giorno volò nel vuoto l’avventuroso gatto Balzac tradito da un velo di ghiaccio sul cornicione, ha fatto di recente il suo arrivo ancora cucciolino un altro gatto, il terzo in quella casa, e anche lui insignito di un nome importante: Bel Ami, come il romanzo di Guy de Maupassant. E sembra saperlo, visto il tono di superiorità che si è sempre dato fin dalla più tenera infanzia.
Segni particolari: orecchie grandi, pelose anche all’interno e con un buffo ciuffetto sulla punta, il pelo folto, impermeabile, più corto sul petto perché non si resti impigliato nei cespugli bassi, più lungo sui fianchi e sulle zampe larghe e robuste può camminare facilmente nella neve alta. Ma la sua caratteristica è la coda, lunga e folta che quando dorme si arrotola lungo tutto il corpo, come un plaid.
Chi li alleva e ne fa commercio dice che il Maine Coon è il gatto ideale per far compagnia a bambini e anziani, perché socievole, mai aggressivo, ama le persone, divide senza problemi la casa con un altro gatto, addirittura con un cane. Nonostante i suoi antenati vengano dai boschi del Maine e degli altri stati americani sull’Atlantico, non è più forastico di un persiano, né più irritabile di un siamese, tanto meno più dispettoso di un soriano o esigente di un certosino.
E’ insomma un gran bel gatto che vi farà fare bella figura con chiunque inviterete a casa. Almeno così assicurano i suoi estimatori, e quelli che ne fanno commercio. E’ un gatto che si è meritato una lunga citazione da parte dello scrittore Gianrico Carofiglio ne La regola dell’equilibrio, il poliziesco pubblicato da Einaudi nel 2014 e tornato di recente in edicola per il Corriere della sera. L’avvocato Guido Guerrieri, il protagonista, è a cena da una sua giovane collaboratrice, Annapaola. (Pag. 174).
Su un divano di pelle invecchiata sonnecchiava una bestia che sembrava un gatto, ma era grande quanto un cocker.
– E quello? – dissi indicando il gatto.
– Ti piace? E’ un Maine Coon, una razza americana. Un gatto un po’ grande.
– Un po’grande è un buon eufemismo. E’ bello ma non vorrei rimanere solo con lui. Come si chiama? Mefistofele?
– Quando me l’hanno regalato ho pensato a lungo a che nome dargli, alla fine ho deciso di chiamarlo Gatto…”
Come Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany…
– Ti dico il menu…
– E il micetto che mangia? Lasci delle pecore vive per la casa e lui se la sbriga da solo?
– In realtà è come un cane. Mangia anche la pasta e la pizza. E beve la birra. Non ci credi?
– Vieni con me – disse Annapaola rivolgendosi a quella specie di lince che la seguì in cucina, dove prese una lattina di Peroni da un grande frigorifero bombato arancione e ne versò un poco in una ciotola per terra.
– Ecco la tua birretta, Gatto.
La bestia se la lappò di gusto tutta quanta.
Quando Bel Ami è arrivato nella sua casa romana a poco più di due mesi ma già sfoggiava un’invidiabile forma fisica: sembrava molto più grande, quasi come un gatto adulto e alla trepida padroncina un giorno arrivò una preoccupante premonizione: “Diventerà enorme, potrà arrivare a pesare quindici chili, non ce la farai a prenderlo in braccio!”.
La previsione non si rivelò azzardata: di lì a pochi mesi, chi li vedeva insieme si chiedeva che presto sarebbe stato lui, il gatto, a prendere in braccio lei, la padrona di casa, già di piccola costituzione, per portarla a cuccia, pardon, a letto e rimboccarle le coperte. Insomma, s’è capito subito che Bel Ami non era un gatto grande, come tanti altri, ma un grande gatto come solo quelli della sua razza possono permettersi.
Una razza particolare quella del Maine Coon, che in due parole riunisce il nome di uno dei cinquanta Stati americani con quello di un piccolo mammifero abitante in quei boschi e rievoca una storia che risale ai primi coloni inglesi sbarcati sulle coste orientali del nuovo continente.
La prima nave, nel 1620, fu il Mayflower, con a bordo i Padri Pellegrini che avrebbero fondato la prima colonia puritana d’America. Allo storico veliero ne seguirono tanti altri, e tutti avevano a bordo torme di gatti europei impegnati nella quotidiana lotta ai topi che infestavano la cambusa. Una volta a terra, quei gatti inglesi di nascita ma destinati a cambiare la storia del loro genere, si sono sparsi nei boschi del Nuovo Continente e con gli anni ne sono usciti cambiati nelle dimensioni: più adatti alle mutate condizioni ambientali, e forse imparentati con qualche “cugino” americano, come l’orsetto lavatore (da cui il nome coon) o addirittura la lince.
Il gatto Maine Coon è il discendente di quei gatti pionieri. E come tanti emigrati nel Nuovo Mondo anche lui ha fatto il percorso inverso ed è tornato in Europa, dove ha trovato l’invidiabile posizione di gatto di casa, come il nostro Bel Ami.
“Ti sei messa in casa una specie di lince?” chiedono allarmati gli amici e i vicini. Macché. Bel Ami è un buon gatto che degli antenati americani non conserva nemmeno il ricordo e vive da gran signore ricevendo e restituendo affetto e coccole come un soriano o un persiano qualunque, sapendo di poter contare su vitto, alloggio e assistenza medica e compagnia quotidiana, allungato sul tradizionale divano del salotto davanti ad un televisore che, a dire il vero, non attira molto la sua attenzione.
A meno che il video non trasmetta documentari di viaggio, soprattutto dalle Americhe, o film storici. Nel primo caso, il grande gatto venuto da lontano appizza le orecchie e spalanca gli occhi e sembra pensare “io lì ci sono già stato”. Ma è davanti ai film in costume che sembra appassionarsi di più, perché evidentemente gli piacciono i cavalieri con i cappelli piumati e i cavalli con il pennacchio. Alla loro vista sembra voler entrare nello schermo e partecipare all’azione.
Come tutti i gatti della sua pregiata razza, anche Bel Ami ha una coda fastosa che quando incede con fare altero sembra una grande piuma al vento, un ornamento sulla corazza del cavaliere, un pennacchio sulla testa del suo cavallo. Insomma, fa una bellissima figura. E sembra compiacersene. Ed è qui che si scopre chi è il Maine Coon Bel Ami: è lui il “Gatto con gli stivali”, quello della favola di Perrault, che con gli stivali ovviamente “delle sette leghe” compie imprese straordinarie. Si, è proprio lui, uscito dalla leggenda e approdato alla realtà di un’accogliente casa di città.
Bisogna intendersi: le favole non sono leggende, e tanto meno le leggende sono favole. Sono fatti veri con personaggi che esistono tuttora: quante Cenerentole conosciamo al giorno d’oggi? Quante Biancaneve anche senza il codazzo dei sette nani? E quante Belle addormentate non necessariamente nel bosco incontriamo tutti i giorni? Belle ragazze che aspettano l’arrivo del presunto principe azzurro che si fa sempre sospirare.
Anche perché oggi di veri principi non ce ne sono poi tanti, soprattutto perché non ci sono più i Faraoni, i Cesari, gli Imperatori o i Sovrani, col tempo sostituiti da presidenti di piccole repubbliche, o da amministratori delegati di aziende grandi come antichi regni, o da tycoon di imprese dai bilanci di fantastiliardi di dollari, euro o bitcoin.
Sono questi che le moderne Belle Addormentate aspettano, e intanto qualcuna di loro, la più furba, scaccia la noia accumulando sul web virtuali seguaci o ammiratori e ne fa richiamo pubblicitario. Vi immaginate quanti followers avrebbe accumulato Cleopatra se fosse vissuta ai tempi nostri? E forse non avrebbe fatto la brutta fine che sappiamo.
Tutto questo, il gatto Bel Ami non può saperlo, ma sembra intuire che lo stesso fato che ha portato i suoi antenati ad attraversare l’Atlantico e lui stesso a fare il viaggio inverso, possa un giorno fare di lui un gatto grande non solo nella mole ma anche nel destino, come è successo al personaggio letterario di cui porta orgogliosamente il nome.
Comunque, va detto che il gatto del Maine gli stivali non li porta sempre, ma solo quando va alle feste mascherate, dove lo invitano spesso perché ogni volta è il beniamino della serata: le donne lo adorano, vorrebbero prenderlo in braccio, stringerselo al seno ma non a tutte è consentito, mai visto un gatto così grosso.
Sfido io, mangia come un lupo, in due minuti spolvera intere ciotole di croccantini di prima qualità, un peso non da poco per il portafoglio della tapina che gli fa da mamma, da cuoca, da parrucchiera, da badante, da infermiera, da amica, da confidente. Ma lei non si lamenta, anzi è orgogliosa del suo Maine Coon, e già progetta di insegnargli a leggere, perché sulle pagine di Maupassant impari a conoscere il personaggio letterario di cui porta il nome e, messi i magici stivali, ne continui le strabilianti imprese.
Da “12 storie vere di gatti veri” di Sandro Marucci edizioni La Quercia 2024