Storie vere di gatti veri. L’innominato che diventò pianista 

Chi non ha un ufficio a disposizione, può contentarsi di un giardino. Chi ama i cambiamenti, sia pure non definitivi, come certi gatti mostrano di gradire se non altro per soddisfare l’innata curiosità della specie, può fare come un gatto senza nome, che ha cambiato una casa con un’altra senza una precisa ragione, forse solo per il gusto della novità. Ecco come sono andate le cose.

In un piccolo centro residenziale immerso nella campagna le quindici villette a schiera sono divise fra loro da una siepe di alloro. Il nostro felino abita nella terza della fila, un balzo ed è dal vicino, dove, lo dice anche il proverbio, l’erba è sempre più verde. Vi risiede una famiglia che di verde non ha solo l’erba ben curata dalla padrona di casa, in quanto tutti sono amanti della natura.

Rispettano l’ambiente, amano gli animali, non sono vegetariani ma nel minuscolo orto con grande fatica coltivano ogni specie di verdura commestibile, dalle melanzane ai pomodori, dalle cipolle ai piselli, all’insalata. Anche alberi da frutto (un nespolo, un albicocco, un ciliegio, un ulivo) che fanno da corona a un grande noce che svetta al centro.  

In quel giardino c’è sempre un animale in giro.  Per molti anni la cagnolina Dorina, padrona assoluta insieme a conigli e galline ovaiole a motivo del cane.  I gatti non vi erano ammessi, con la sola eccezione di Chiodino, dal manto grigio ferro da cui il nome, che vi ha vissuto da padrone fino al giorno in cui Dorina è salita in paradiso. 

Da allora il giardino è frequentabile anche per i felini dei vicini e il gatto senza nome (come quello di Audrey Hepburn nel film Colazione da Tiffany) ha fatto il grande balzo. Eccolo dunque sull’erba più verde, ben accolto dagli abitanti, ignorato dalla gallina padovana superstite e soprattutto lieto di avere una nuova proprietà da esplorare. 

L’esame è durato qualche giorno e ha dato un risultato positivo. Da allora il gatto senza nome ha cambiato casa, ed è contento della decisione. Ma perché il povero “gatto oltre la siepe” (dal titolo di un noto romanzo americano che ebbe anche una bella trasposizione cinematografica) non ha un nome? 

C’è una ragione ben precisa: il vicino non deve sapere dello sconfinamento, altrimenti potrebbe protestare e pretendere che l’ingrato a quattro zampe torni a casa e ci resti come fanno tutti i gatti senza grilli per la testa. Di conseguenza, oltre che anonimo, il gatto senza nome è anche senza identità e, diremmo oggi, senza permesso di soggiorno, cioè sta dove non dovrebbe stare, è un abusivo, un immigrato che non ha documenti, in Francia sarebbe un sans papier.

 Qui nessuno lo caccia ma nemmeno lo nomina per tema che dall’altra parte della siepe si venga a sapere e si dica: “Sai dove sta il gatto? Dai vicini, quel farabutto: adesso vado ad acchiapparlo”. La scena immaginaria è verosimile. Per sicurezza, il gatto senza nome (qualcuno di qua dalla siepe ha preso a chiamarlo addirittura “il non gatto”) viene accolto con circospezione, come un prigioniero sfuggito al nemico e lui stesso, quasi sapesse che è meglio non farsi vedere troppo in giro, si aggira guardingo alla ricerca di angoli sicuri dove schiacciare il proverbiale pisolino senza correre troppi rischi. 

Un giorno dopo l’altro il nostro intruso ha preso confidenza con la nuova casa, e dal giardino è passato all’orto, poi al salotto, allo studio, fino alla camera da letto. E qui l’obiettivo della missione del “gatto oltre la siepe” può considerarsi pienamente riuscito: ci ha passato una prima notte, su un letto che più comodo non poteva essere, sotto lo sguardo tollerante dei coinquilini a due zampe che forse non si aspettavano tanto ardire ma che in fondo sono stati contenti di essere stati scelti come nuovi condomini. E forse un giorno a quell’impertinente oseranno dare anche un nome.

Anche perché il gatto senza nome si è rivelato col tempo un appassionato di musica. Quando la più giovane della famiglia decise di dedicarsi allo studio del pianoforte, e passava i pomeriggi a ripetere gli esercizi, il gatto le si accoccolava accanto e restava in ascolto senza muovere un muscolo: unico ascoltatore perché gli altri componenti della famiglia trovavano il modo di squagliarsela per sottrarsi alla noia di quell’ ossessivo strimpellare. 

Un giorno il gatto senza nome entrò in casa, andò al piano mentre la giovane apprendista stava dormendo in camera sua. Per qualche minuto rimase in attesa, poi si decise: saltò sulla tastiera e cominciò a passeggiarvi sopra con fare lento ma studiato. Ottenne note a caso, ma stava suonando per svegliare la dormigliona e richiamarla al dovere della lezione. 

Può sembrare incredibile, ma andò così e non per una sola volta. L’allieva capì la lezione e da quel giorno fu più solerte. Oggi è diplomata in pianoforte e il merito è anche del gatto che fu il suo primo ammirato ascoltatore.  

Ora il gatto pianista ha un nome tutto suo. Un nome classico di un personaggio delle Bucoliche di Virgilio: si chiama Titiro come il protagonista, con l’amico Melibeo, di un dialogo che si studia a scuola. Proprio mentre stava traducendo quel passo della prima Bucolica, la giovane pianista si fece ispirare da Virgilio e decise di dare il nome di Titiro a quel gatto. 

In realtà ora di nomi ne ha due, entrambi impegnativi: si è scoperto, infatti, che nella casa da cui proviene un nome glielo avevano già messo: addirittura Dante, come l’Alighieri. Ma lui di tanta letteratura sembra non curarsi, a lui piace la musica, in particolare il pianoforte. Forse avrebbe preferito chiamarsi Chopin.  

Da “12 storie vere di gatti veri” di Sandro Marucci edizioni La Quercia 2024

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