Storie vere di gatti veri. Cleopatra, la gatta Faraona 

E’ nata a Roma, ma è convinta di venire dall’antico Egitto, quello dei Faraoni, dove i gatti erano considerati una divinità, non come a Roma, dove al massimo gli è consentito di frequentare i ruderi del Foro e dintorni. 

     La presunzione di vantare origini egiziane le deriva non solo dal fatto di chiamarsi Cleopatra ma dal suo carattere deciso, poco incline alla trattativa: autorevole o autoritario? Forse più il secondo che il primo. 

       Si vede lontano un miglio che quella gatta dall’aspetto inoffensivo sotto sotto è un tipetto che si sente psicologicamente più vicina alla regina che conquistò un paio di Cesari, che alla padrona della casa dove non disdegna di abitare con una onesta, laboriosa famiglia di origini non faraoniche ma che le vuole un gran bene e gliele fa passare tutte, o quasi. 

Il problema (ma dopo tutto non è un vero problema) è che Cleopatra, in fondo, si annoia per quelle giornate sempre uguali, dove non succede mai nulla di divertente o almeno di nuovo. Lo ha dedotto la padrona che è un’attenta osservatrice della sua presuntuosissima, adorabile spocchiosa gatta. 

La signora Letizia, un nome che corrisponde ad un carattere allegro, positivo, che del proverbiale bicchiere preferisce guardare alla metà mezza piena, è altruista, generosa e, se fosse per lei, il mondo andrebbe molto meglio. 

      Fa un lavoro che la tiene spesso impegnata al computer, e questo sembra dare terribilmente fastidio a Cleopatra che considera il tempo passato a tempestare sui tasti inutile e dannoso perché sottratto a più divertenti attività, come correre dietro una pallina colorata, esibirsi in curve da formula uno con sgommate improvvise e derapate mozzafiato, con grave rischio per l’eventuale vaso cinese che dovesse trovarsi sul percorso (forse il prezioso vaso non c’è mai stato, o è stato messo in salvo).  

Il problema della gatta è come distogliere dal computer la solerte mammina dall’irresistibile senso del dovere. Cleopatra ci pensa un po’ e decide: basta approfittare di un attimo di distrazione della scrivente, saltare sulla scrivania e sdraiarsi sulla tastiera come su un triclinio. 

     Così ha fatto un pomeriggio e di colpo tutto il lavoro di una mattina è andato a pallino: per recuperare i files scomparsi di botto ci sono volute ore, con grande arrabbiatura della titolare dei testi. Ma i suoi strilli, risuonati a lungo, non hanno turbato affatto Cleopatra: era soddisfattissima per avere trovato il modo di movimentare il pomeriggio. 

Con gli anni Cleopatra è diventata intraprendente più di quanto fosse da cucciola. Un giorno si è arrampicata sul muro di cinta quasi volesse tentare un’assurda evasione. L’hanno vista in tempo e sottratta al rischio di uscire con le conseguenze immaginabili per un gatto domestico che non ha mai messo il naso fuori casa. 

           Come volesse dimostrare che si sentiva una reclusa, la vedevi seduta davanti alla finestra chiusa guardare l’orizzonte lontano. Sembrava stesse riflettendo sulla possibilità di buttare giù un libro tipo Le mie prigioni di Silvio Pellico, o forse meditava qualcosa di più divertente perché non è detto avesse il dono della scrittura. 

Non si creda sia il solo gatto che ama sdraiarsi sulla tastiera. Quando non c’era il computer, erano altre le tastiere a rappresentare un irresistibile richiamo: la spinetta, il clavicembalo, il moderno pianoforte. 

    Come sanno bene i gatti amanti della buona musica, c’è un brano famoso che si intitola appunto La fuga del gatto che fu ispirato all’autore dalle “note” che il suo gatto riuscì a ottenere facendo un repentino guizzo sui tasti, forse per indurre il pianista a smettere di suonare e a decidersi a giocare con lui. 

    Il padrone del gatto in questione era il clavicembalista napoletano Domenico Scarlatti, vissuto fra il 1685 e il 1757, al quale si deve la sonata in sol minore opera k 30 detta appunto “La fuga del gatto”. 

      Ma non solo il nostro Scarlatti si fece ispirare dalle marachelle del suo felino melomane: anche il compositore russo Nikolai Rimskij-Korsakov prestò attenzione ad un insetto volante che gli ronzava intorno mentre suonava, e al violino compose un brano diventato famoso, Il volo del calabrone. 

    Al momento, delle incursioni di Cleopatra sulla tastiera non si ha notizia di creazioni musicali, ma si vedrà in futuro: a lei la fantasia non manca e con il computer oggi si possono fare miracoli. Saltare a piè pari sulla scrivania, accoccolarsi in “modalità Sfinge” con lo sguardo su chi lavora tempestando sui tasti è un suo modo di dare il via alla giornata. 

            Domanda sorge spontanea: ci si può concentrare se a dieci centimetri hai puntato in viso il volto di un gatto intenzionato a non muoversi per le prossime due ore? Qualcuno lo fa ma è faticosissimo, più frequente è distrarsi per chiedere a quella faccia impunita: “Ma che vuoi? Ti annoi”. 

Come sanno bene quelli che li frequentano, i gatti hanno un modo speciale per rispondere, con un silenzioso battito di ciglia, chiudendo lo sguardo per riaprirlo subito più interrogativo di prima: “Ah, vuoi uscire? E dillo allora!”. 

       Non sembra ma è un dialogo anche questo. Senza parlare l’animale ha ottenuto quello che voleva: strappare la padroncina dal computer, farsi accompagnare in giardino e costringerla a una pausa di riflessione su di lei, Cleopatra, che ancora una volta ha riaffermato il suo ruolo di regina. I tempi sono cambiati: pur non vivendo sul Nilo, l’importante è la consapevolezza di sé e in proposito la Gatta Faraona ha idee molto chiare. 

Da “12 storie vere di gatti veri” di Sandro Marucci edizioni la Quercia 2024

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