Alitalia. Quel che resta dell’italianità dei capitani coraggiosi

ROMA – Eccola qui l’italianità della nostra stimata compagnia di bandiera. E’ finita su un prato verde dell’aeroporto di Fiumicino durante una serata fredda e ventosa.

A pochi metri  dalla pista asfaltata, su cui solitamente il carrello impatta il suolo sollevando una nube di gomma consumata, c’è l’oggetto della discordia: un ATR72 che poggia con l’ala destra sul terreno, quasi fosse un animale ferito che non riesce più a sollevarsi da una sorte già segnata.
Lo sanno bene i manager di Alitalia che oggi hanno voluto eliminare il loro logo dall’aereo, come volessero comunicare all’opinione pubblica che con quanto successo loro non c’entrano perchè il volo era operato dalla compagnia romena Carpatair. Peccato che proprio quel volo, ovvero l’AZ1670 Pisa-Roma, era siglato come  un volo Alitalia a tutti gli effetti, esattamente come lo erano i biglietti acquistati da ignari passeggeri che non avrebbero mai pensato di salire su un volo gestito da una compagnia e da personale di tutt’altro Paese e soprattutto di finire fuori pista.
La dirigenza Alitalia spiega che “è una prassi togliere la livrea”, e  aggiunge che è stata  chiesta l’autorizzazione alla procura di Civitavecchia e che dopo i rilievi scientifici la stessa ha dato l’ok. “È una prassi che seguono molte compagnie in casi simili e – aggiungono dall’Alitalia – è anche buon senso per evitare che si diffondano immagini negative dell’azienda, specie in un caso come questo, dove l’aereo non è di Alitalia ma operato Carpatair“. Ma pensate davvero che dopo un incidente aereo la prima cosa che le compagnie fanno è togliere la livrea? Il web purtroppo sugli incidenti offre una vasta documentazione con video e fotografie. E forse eliminare un logo dopo che le foto hanno fatto il giro del mondo non potrebbe rivelarsi una scelta sbagliata?  E poi se è una prassi, perchè Alitalia ha dovuto chiedere l’autorizzazione alla Procura?

L’unico ricordo che riaffiora riguarda quel lontano 2008, anno in cui si invocava  il salvataggio della compagnia, dei posti di lavoro , dei soldi di azionisti e obbligazionisti. L’italianità  era diventata il chiodo fisso del governo Berlusconi, che portava sul palmo della mano i volenterosi “capitani coraggiosi”,  pronti a risollevare le sorti della compagnia di bandiera, capaci di far decollare un piano industriale credibile e soprattutto vincente.

“Salveremo Alitalia”, era la frase più inflazionata a Palazzo Chigi, mentre i tavoli di trattativa si sprecavano.
Poco importava se l’accordo con Cai sarebbe potuto costare ai contribuenti italiani una cifra che oggi sappiamo oscilla attorno ai 3 miliardi di euro. Fosse solo questo il patto della discordia. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Il personale è stato decimato, o meglio ridotto all’osso. Alcuni dipendneti sono stati votati all’attesa infinita del nulla. Tra lavoratrici e lavoratori in cassaintegrazione, chi in mobilità e chi esodato senza possibilità di appello, si è consumata  una vera e propria strage di lavoratori, tutti abbandonati al loro triste e silenzioso destino. Ma anche chi è stato più fortunato non se la passa troppo bene. Già da qualche settimana, infatti,  il personale navigante è costretto alla cassaintegrazione a rotazione per  5 giorni mensili, per evitare che altri potenziali  esuberi finiscano in CIG. Insomma lavoriamo meno, ma tutti, ma solo quando lo diciamo noi.

E nel frattempo l’Alitalia cosa fa? Appalta dal marzo del 2012 alcune tratte di linea alla compagnia Carpatair, la quale probabilmente offre un servizio ad un costo inferiore. Dopo l’incidente di ieri l’Alitalia fa sapere che  il contratto con il vettore romeno è stracciato. E questa volta su tutte le tratte.  Ma questi capitani coraggiosi avrebbero dovuto pensarci prima. O forse non hanno a cuore non solo il loro personale, ma anche la loro clientela. “Abbiamo sostituito Carpatair con nostri aerei ed equipaggi Alitalia su tutte le rotte e i voli sulle tratte sono regolari”, rimarca Alitalia. Insomma abbiamo assistito all’ennesima “sola”, come dicono a Roma. Ma questa volta gli ha detto male. Al momento rimane ancora difficile delocalizzare il trasporto aereo, livrea permettendo.

 

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