ROMA – Luigi Magni abitava in via del Babuino, a pochi metri da quella che era stata la storica sede della Rai, ma soprattutto a cento passi da quella piazza del Popolo dove fu montata, per l’ultima volta, la forca del papa Re che giustiziò gli ultimi due carbonari che avevano attentato alla sicurezza dello stato pontificio. C’è tuttora una lapide a ricordo.
“E dove vuoi che abitassi, al Tufello?” rispondeva Magni a chi si compiaceva con lui di avere dimora in quell’angolo di Roma barocca e papalina insieme. E in piazza del Popolo, martedi prossimo Roma tributerà l’ultimo saluto all’uomo di cinema che più di ogni altro ha cantato quella “sua” Roma, spentosi oggi all’età di 85 anni..
E’ la Roma di “Faustina” che diresse nel 1968, fra i ruderi veri dell’Appia antica e le scenografie di cartapesta di Cinecittà. La Roma di “Nell’anno del signore”, con papa Leone XII a combattere gli anticlericali per i quali, il regista, mostra una malcelata simpatia. “Me sarebbe piaciuto un sacco de vive a quel tempo” ci confidò una volta, lui romano de Roma come pochi, e forse proprio per ripagarsi della sorte che lo ha fatto nascere il secolo dopo, ha dedicato tutte le sue energie migliori in un cinema in costume nel quale non ha avuto eguali. Con incursioni anche nella Roma dei Cesari, con “Scipione detto anche l’africano”, nel quale in chiave di commedia satirica popolaresca ricostruisce un periodo storico con chiari riferimenti ironici ai giorni nostri.
In “Tosca” ,del 1973, Magni riunì un cast di romani autentici o d’elezione: Monica Vitti, Vittorio Gassman, Aldo Fabrizi, Gigi Proietti per riproporre, non l’opera di Puccini (le musiche peraltro sono di Trovajoli) o il libretto di Victorien Sardou, ma una sorta di i pasquinata per immagini di grande effetto e divertimento. Il filone ormai è avviato: Magni insiste con i carbonari, i gendarmi pontifici, gli intrighi di corte all’ombra del Cupolone. Nel film successivo, “In nome del papa re”, Nino Manfredi è un monsignore impagabile per bravura e ironia. Sempre, da gran mangiapreti qual’era, Magni diresse nel 1990 “In nome del popolo sovrano” con Sordi e Manfredi nei ruoli principali chiudendo così un’ideale trilogia contro il potere temporale del papato.
Attento scopritore di caratteri fra i giovani del nostro cinema, Magni chiuse un ciclo approdando con “La carbonara”, girato sulle rive del lago di Bracciano, facendo indossare i panni ottocenteschi romani che gli erano particolarmente cari a Valerio Mastandrea, Fabrizio Gifuni, Lucrezia Lante della Rovere Claudio Amendola, e ancora al suo amatissimo Manfredi, in una storia di carboneria casareccia ma non meno efficace.
Il cinema in costume è una cifra di Luigi Magni. Non a caso la moglie, con la quale ha condiviso molti se non tutti i suoi set, era una bravissima costumista. L’appartamento di via del Babuino era pieno di armadi che custodivano costumi bellissimi. Oggi, con le mille antenne televisive che rovesciano sul telespettatore notturno valanghe di cinema non più reperibile sugli schermi, capita spesso di rivedere nei film di Magni, volti, nomi, storie, atmosfere, costumi della Roma che lui rimpiangeva di non aver vissuto di persona. La Roma del’odiato-amato papa re.