Un amico d’infanzia: “Io lo conoscevo bene”. Maurizio Costanzo non ancora Show

Figlio di ferroviere, giornalista per ambizione, confessore laico per vocazione. Amante della concisione com’era, gli sarebbe piaciuto questo sintetico ritratto che lo ritrae così come lo ha sempre visto un amico d’infanzia, stessi anni, la fine dei Trenta, stessa strada (Via Livorno, quartiere impiegatizio della Roma borghese), stesso gruppetto in calzoni corti da cui col tempo sono usciti, nell’ordine: un ingegnere della Mercedes, un direttore di banca dei Paschi di Siena, un pilota di Jumbo dell’Alitalia, un grossista di articoli religiosi, un insegnante di educazione fisica, un giornalista e lui, Maurizio Costanzo, non ancora show ma già destinato  a entrare nell’orbita della celebrità.

Era la sua specialità: darsi un obiettivo e raggiungerlo, con tenacia e molta ambizione. Fin da piccolo ebbe indubbiamente le idee chiare.

Avevamo diciassette anni quando decidemmo che eravamo troppo giovani per farci prendere sul serio quando andavamo ad intervistare gli adulti per le nostre prime cronache per un’agenzia di stampa, a lui era toccato un pezzo sul problema della raccolta dei rifiuti, a me i lavori per il sottopassaggio pedonale di largo Chigi, fra la Rinascente, la Galleria Colonna e il palazzo del governo. Un colpo di penna sulla carta di identità ed eccoci entrambi di colpo maggiorenni e vaccinati. Poi ognuno per la sua strada: a me, più modestamente, il quotidiano importante, poi l’agenzia nazionale di stampa, infine i telegiornali, a lui ben più alla grande, il rotocalco, la radio, la direzione di giornali, il teatro, il cinema, i libri, il cabaret, la televisione. 

Tutto era cominciato dalle finestre di una redazione Mondadori che si aprivano su via Veneto, da dove il giovane Costanzo vedeva scorrere la varia umanità della quale, per contratto, doveva occuparsi nella rubrica di corrispondenza con i lettori del settimanale Grazia, allora già molto popolare. Così nacque il confessore laico che dalla carta stampata sarebbe ben presto passato alla radio, quindi alla tv. Aveva un gusto particolare per i titoli: il radiofonico Buon pomeriggio, che sarebbe poi diventato un saluto oggi abituale, alla televisione Grand’Italia (dall’omonimo cafè chantant sotto i portici di piazza della Repubblica), poi Bontà loro, quindi Acquario (come si vede Fabio Fazio con i suoi pesci rossi in trasmissione non ha inventato nulla) infine il Maurizio Costanzo Show ad imitazione di Ed Sullivan, il celeberrimo entertainer di una delle maggiori emittenti televisive americane. 

Ma prima c’era stata l’avventura dell’Occhio, il giornale popolare che la Rizzoli dell’epoca tentò di imporre ai lettori con una formula oggi si direbbe ibrida fra il quotidiano e il settimanale.

Un’iniziativa che si rivelò in anticipo sui tempi e che ebbe un finale burrascoso: Costanzo ne era il direttore a Milano, in un residence dove diceva di sentirsi come un deportato e da dove ad ogni week tornava precipitosamente a Roma quasi gli mancasse l’aria.

La redazione lombarda non amava molto quel direttore romano che non nascondeva il disagio del sia pur provvisorio trasloco. E poi a Roma lo avrebbe presto aspettato la nascita di Prima Rete Indipendente, l’emittente della Rizzoli che esordiva con il primo vero telegiornale privato, Contatto.

Ma se l’Occhio cominciava a socchiudersi, il tg di Costanzo partiva alla grande e fece subito uno scoop: la scoperta delle grandi statue di bronzo portate alla luce dal mare di Riace da un subacqueo romano che in studio parlò per la prima volta della eccezionale scoperta.

In un’altra occasione speciale, il piccolo telegiornale privato, che aveva sede in un ex-sanatorio dalle parti di Monte Mario, arrivò prima della Rai: era il 13 maggio 1981 quando in piazza San Pietro il turco Alì Agcha sparò due colpi di pistola contro Giovanni Paolo II che dalla jeep scoperta benediva la folla. Il Papa fu portato sanguinante all’ospedale Gemelli dove al pronto soccorso trovò la piccola troupe di Contatto a fare le prime riprese in esclusiva (che poi furono cortesemente cedute alla Rai arrivata buon’ultima). 

La popolarità del direttore Costanzo era già alle stelle ma il ciclone dello scandalo P-2 era in arrivo. Come tutti i dirigenti della Rizzoli anche l’incolpevole direttore dell’Occhio fu travolto, giornale e tg finirono alle ortiche, le redazioni invitate dalla proprietà a rompere le righe e salutate con un gelido “si salvi chi può”.

Ma l’esperimento del giornale popolare è stato per alcuni dei suoi redattori occasione di rilancio e fortuna. Non so quanti di loro abbiano manifestato riconoscenza al direttore: la tessera della P-2 è stata per lui un marchio di infamia da cui ha stentato a liberarsi. Ma Maurizio Costanzo, prima di diventare uno show era un combattente: se ne accorse anche la mafia di Palermo quando mandò Matteo Messina Denaro a Roma, Firenze e Milano per i sopralluoghi degli attentati del 1993: quello in via Ruggero Fauro  per un pelo non costò la vita al giornalista appena uscito dal suo teatro Parioli dalla cui ribalta aveva esternato con vigore il suo disprezzo per i mafiosi: ”Non capisco perché le loro donne non li lasciano, quegli uomini cosi”, aveva detto pubblicamente, un’offesa cocente per i capi mafiosi e Totò Riina gliela giurò: ”Chillo a dà murì”, avrebbe riferito un pentito in vena di confidenze con i magistrati che poi lo riferirono all’interessato.

Si chiamava A lume di candela, perché la scenografia era tutta lì: una bugia con una candela accesa su un tavolino e una sedia, alle spalle una finestra chiusa. Su quella sedia e per tutta la durata della candela accesa Maurizio Costanzo non ancora show fece ritorno sul video, accolto da una piccola emittente sarda mentre infuriava ancora lo scaldato P-2. E proprio al lume di candela intervistava l’ospite di turno. Come avrebbe poi fatto fino alla fine. Moderna Fenice risorta dalle ceneri, il giornalista (che da ragazzino non ha mai tirato un calcio al pallone ma che da grande è diventato consulente della Roma, la squadra di cui si diceva tifosissimo) non tardò a tornare in sella.

La tv commerciale era intanto passata dai Rizzoli a Berlusconi, fra le braccia del quale dopo alcuni passaggi in Rai, il giornalista che non conosceva il significato della parola vacanza, che non è mai andato in ferie nemmeno con le quattro mogli che ha progressivamente impalmato (e tutte, chi più chi meno, glielo hanno rimproverato), finalmente trovò l’uomo che lo avrebbe capito fino in fondo e fino in fondo gli avrebbe lasciato fare la televisione così come la voleva lui, senza interferenze. E così sembra sia sempre stato. 

E fu subito Maurizio Costanzo Show, il programma televisivo che in migliaia di puntate ha messo in onda l’umanità più varia, la stessa con la quale, con la rubrica delle lettere dei lettori di un settimanale femminile, un giovanissimo Costanzo aveva aperto la sua missione di confessore laico. Dalla A di Andreotti alla Zeta di Zuzzurro e Gaspare, non si contano i personaggi chiamati alla ribalta e garbatamente vivisezionati. Attori comici e drammatici, cantanti e fantasisti, critici d’arte e travestiti, ma anche deputati e senatori, magistrati, uomini politici, non tutti “nani e ballerine” (come si espresse un ministro socialista dalla battuta facile), ma anche autentiche scoperte da vero talent scout. Ormai da qualche tempo non c’è volto noto della tv che prima o poi in tanti anni non sia “passato” da Costanzo a ricevere come fosse un’investitura.

Per tutti la domanda finale era: “Secondo lei, cosa c’è dietro l’angolo?”.

Costanzo lo chiedeva soprattutto a quelli da cui si aspettava una risposta esauriente. E diceva di non averla mai avuta, quella risposta. Ora c’è andato lui a vedere cosa c’è dietro l’angolo.

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