Giorgio Parisi, un fisico da Nobel: “Sempre meglio che lavorare” …

Il 10 dicembre prossimo, nell’anniversario della morte a Sanremo del fondatore del premio più prestigioso al mondo, il fisico romano Giorgio Parisi riceverà il premio Nobel per i risultati delle sue ricerche nel campo dei sistemi complessi.

Ma non dovrà recarsi a Stoccolma per ritirare materialmente l’ambito riconoscimento dalle mani del re Carlo XVI Gustavo di Svezia, perché per il secondo anno consecutivo la solenne cerimonia è stata annullata a causa della pandemia da covid: ogni vincitore sarà premiato nel proprio paese. Una delusione per tutti, soprattutto per gli scienziati insigniti del premio, che per nulla al mondo avrebbero rinunciato alla serata di gala nella lussuosa sala da concerto allestita per l’occasione nella capitale svedese. 

Nella storia del Nobel, che parte dal 1901, c’è stato chi ha dovuto rinunciare ma per una causa più grave di un’epidemia da virus, la politica: il primo nel 1958 fu Boris Pasternak, lo scrittore russo premiato per Dottor Zivago ma materialmente impedito a recarsi in Svezia dal Cremlino che giudicò il romanzo sovversivo. Più recentemente toccò al dissidente cinese Liu Xiaobo che il governo di Pechino imprigionò insieme con la moglie per impedirgli di andare a Stoccolma.

Il nostro Giorgio Parisi, di cui in questi giorni è in edicola un libro edito da Rizzoli – Corriere della sera su licenza Mondadori (pagg. 124 euro 12,00) dal suggestivo titolo In un volo di storni, quest’anno divide il Nobel con due eminenti colleghi, il giapponese Siukuro Manabe e il tedesco Klaus Hasselmann, premiati per le loro ricerche sul clima e sul riscaldamento globale. 

 Parisi è il sesto scienziato italiano a ricevere il Nobel per la fisica dopo Guglielmo Marconi che lo ebbe nel 1909, Enrico Fermi nel ‘38, Emilio Segre nel ’59, Carlo Rubbia nell’84 e Riccardo Giacconi nel 2002. Chimica, fisica, medicina, letteratura sono le materie che Alfred Nobel volle premiare mettendo a disposizione parte del suo immenso patrimonio accumulato con l’invenzione della dinamite. Fu proprio per lasciare di sé un ricordo diverso da quello dell’uomo “che insegnò al mondo come distruggere tante vite umane” (così scrissero di lui alla sua morte) che Nobel fondò il suo premio, oggi allargato anche a chi ha avuto particolari meriti nella costruzione della pace del mondo. 

Come si vince un premio Nobel? Giorgio Parisi ci era andato vicino nel 1973. E fu un caso. Lo racconta nel suo libro, al quale ha lavorato per alcuni anni e finito  solo all’annuncio del Nobel nell’ottobre scorso. Erano gli anni Sessanta e al Cern di Ginevra un gruppetto di giovani fisici lavorava ad una teoria sui protoni e neutroni che sembrava non dare grande soddisfazione. Qualcuno si teneva per sé i risultati di laboratorio, altri ne parlavano fra di loro. Qualche voce arrivò anche a Parisi, che era fra quelli che ci aveva lavorato di più, ma poi a scrivere l’articolo per la rivista scientifica che avrebbe rivelato la scoperta al mondo fu un altro. “Farsi scappare da sotto il naso un premio Nobel all’età di 25 anni – scrive oggi Parisi – non so se sia una cosa da raccontare con orgoglio o piuttosto un segreto di cui vergognarsi”. 

 Ora che il Nobel ce l’ha in tasca il nostro fisico non ne fa mistero e, con l’ironia di cui può essere dotato uno scienziato che guarda alla sua professione con un distacco da vero umorista, spiega che spesso la scienza fa grandi progressi per caso e  che talvolta la strada imboccata in laboratorio per andare da una parte alla fine porta da tutt’altra parte. “Ma va bene lo stesso – osserva Parisi – perché la scienza diventa sempre più utile alla società, e lo sviluppo economico si basa sul progresso scientifico, e non è pensabile lo sviluppo tecnologico senza un parallelo avanzamento della scienza pura”. 

Si stenterebbe a crederlo, ma il fisico oggi Nobel Parisi Giorgio di anni 73, da Roma, è un uomo molto spiritoso, al punto di costellare il suo libro di aneddoti divertenti: “L’enfasi sulle ricadute immediate della ricerca è una follia – dice – E’ famosa la risposta di Faraday (quello della gabbia che si studia al liceo) al ministro britannico che gli chiedeva a cosa servissero i suoi esperimenti sull’elettromagnetismo: al momento non saprei dire, ma è molto probabile che in futuro ci metterete una tassa sopra”.

Fra le prime ricerche da universitario a Roma, Parisi ricorda quelle sugli stormi di uccelli, per lo più storni, che al tramonto guizzano nel cielo creando fantasiose immagini in movimento che hanno fatto la fortuna di molti operatori televisivi e documentaristi. Fotografando gli storni dal tetto del palazzo Massimo alle Terme, già istituto dei gesuiti oggi museo archeologico romano, il giovane Parisi studiò le interazioni, cioè il comportamento collettivo degli animali, (non solo stormi di uccelli ma anche banchi di pesci o mandrie di buoi) ai fini della comprensione di  fenomeni psicologici sociali ed economici.  E spiega: “La scienza è un enorme puzzle e ogni pezzo che viene messo nel posto giusto apre la possibilità di collocarne altri. La scienza è come il sesso – diceva Richard Feynman- ha anche delle conseguenze pratiche, ma non è questo il motivo per cui la facciamo. Ma per gli scienziati è fondamentale che sia divertente cercare di risolvere i puzzle. Il mio maestro Nicola Cabibbo quando si discuteva cosa fare diceva: perché dobbiamo studiare questo problema se non ci divertiamo?  Spesso fra gli scienziati c’è quasi stupore per essere pagati proprio per fare quello di cui si è appassionati. Un mio caro amico, Aurelio Grillo, era solito commentare: fare il fisico è una faticaccia, ma è sempre meglio che lavorare”.

Giorgio Parisi forse non lo sa ma si dice lo stesso del giornalismo: richiede sacrifici ma sempre meglio che lavorare. Enzo Biagi aggiungeva che quando trattava un contratto con un editore pensava fra sè e sè: “Se sapesse che lo farei anche gratis”. Ed Enzo Biagi è stato fra i giornalisti meglio pagati al mondo. E’ singolare il parallelismo fra le due categorie, ma i giornalisti non vincono il Nobel, al massimo il Pulitzer che va solo ai più bravi. E non lo consegna il re Gustavo  di Svezia.

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