Nel paese della pizza, mandolino e calcio la nazionale della pallavolo maschile ha incantato e ammaliato un intero Paese.
Un Italia che per la maggior parte neppure sapeva fosse in corso, in questo disorientato settembre, un mondiale della pallavolo e una nazionale così giovane, così bella, così avvincente.
Nel vortice di un paese allo sbando, in cui sempre più la paura, l’insulto e la divisione serpeggiano e dilagano, questa nazionale ha messo in campo l’immagine dell’Italia migliore.
Un gruppo, un allenatore, una passione.
Uniti anzitutto.
Nessun eroe o paladino tra di loro. “Io non mi sento affatto un fenomeno, il merito di questa vittoria è tutto del gruppo”. È la dichiarazione di Simone Giannelli, il capitano pluripremiato col titolo di miglior giocatore del mondo eppure autenticamente convinto della forza del noi più che dell’io.
E qui non sono le loro parole a colpire o le dichiarazioni di intenti a parlare, quanto le azioni stesse, il muoversi sul campo degli Azzurri, i loro gesti, i sorrisi. Parole trasformate in pratiche, ideali incarnati in partita, in gioco, in vita.
Quello che colpisce più di un baker o di una fenomenale battuta è la loro integrità, la sincronia tra pensiero e azione, sono un gruppo e come un gruppo giocano, sorridono, talvolta perdono e sibito dopo vincono da un set all’altro, punto dopo punto.
“Sogniamo in grande! Cadiamo? Ci rialziamo!” dicono con l’oro in mano. E lo fanno davvero. Sbagliano rilancio, perdono punti e loro rispondono con un sorriso sotto rete: “noi giochiamo col sorriso” e lo fanno davvero, nonostante la tensione e un interno palazzetto ostile che fischia ad ogni battuta.
L’allenatore richiama la squadra dopo un paio di errori di Michieletto per sostenerlo, per ridare fiducia: “Forza Ale, hai tante strategie da mettere in campo”. Come a dire: concentrati su ciò che tu sai e puoi fare d’ora in avanti. Il punto appena perso è passato, adesso, qui e ora tira fuori il meglio che hai dentro.
Non è forse questo e-ducare? Tirare fuori il meglio che c’è, in ognuno, nella squadra, nel noi.
E allora, questa scuola che inizia quale esempio migliore ha più di questo gruppo di giovanissimi, più del loro entusiasmo, più della loro passione.
Noi prof siamo “allenatori” dei nostri alunni o più giudici? E la nostra classe è più una squadra in cui ognuno ha il suo ruolo e in cui ognuno può essere tirato dentro con il meglio che ha e che può o somiglia più a un insieme di individualità in competizione tra loro. È più un noi o più un io? Ci sono più sorrisi o lacrime? Si respira divertimento o noia?
Questa nazionale, questo oro, questa pallavolo (ri)scoperta la sera prima della ripartenza della scuola può insegnarci molto. Le nostre classi sono tutte piccole nazionali, sta a noi provare a fare squadra, sorridere, divertirsi e quindi apprendere. Sta a noi far sperimentare a ognuno, anche o forse soprattutto dopo un errore, la soddisfazione di fare punto, di vincere insieme.