A “Più libri più liberi” la vincitrice del Premio Strega Poesia Vivian Lamarque: d’amore, di foglie, di treni e ricordi

ROMA – “La parola riconoscimento è una parola che ha toccato in me delle corde. Sono una rianimatrice di piantine: mi piace resuscitare le piante e spesso ci riesco. Mi occupo di quelle dei vicini di casa, di quelle sparse nei cimiteri.

Ecco, questa parola, per me, ha avuto lo stesso potere: mi sto riprendendo, come le mie piantine”. Così Vivian Lamarque – poetessa vincitrice della prima edizione del Premio Strega Poesia con la raccolta L’amore da vecchia (Mondadori) – esprime la particolarità di questo tempo che l’ha consacrata a un significativo riconoscimento, parola dalle profondità esistenziali che, nella poetessa, acquista rimandi legati alla storia familiare. 

All’interno della manifestazione “Più libri più liberi”- la fiera della piccola e media editoria che si svolge a Roma in questi giorni, fino al 10 dicembre – la poetessa ha raccontato del suo amore per la natura e la cura che ne scaturisce; le poesie sui treni e la memoria (“i treni e il tempo, che si somigliano tanto”); delle sue passeggiate nei cimiteri che ama visitare, con regolarità, come un rito; degli amori taciuti e mai rivelati, nella sua allegria rosea, quasi di bambina, in un dialogo fresco e intimo con la scrittrice Irene Graziosi, alla presenza di Stefano Petrocchi – presidente della Fondazione Bellonci – e lo scrittore Nicola Lagioia, che ricorda ancora la bellezza di quei versi declamati la sera della premiazione, lo scorso ottobre. 

Vivian Lamarque – splendida settantasettenne che ama dichiararsi ottantenne per destare nei suoi interlocutori commenti lusinghieri e una certa benevolenza – ha una ricca bibliografia alle spalle, con pubblicazioni che coprono più di quarant’anni: le sue poesie, premiate con lo Strega, la consacrano, la riconoscono e ci restituiscono i versi freschi, malinconici, ironici e leggeri di una vecchiaia ancora piena di domande, come l’età che diametralmente le si oppone, l’infanzia, a trovare risposte che, grazie al cielo, ancora continuiamo a cercare. 

E il sorriso con il quale la poetessa racconta il suo attaccamento alla vita e alla vitalità tipica della sua città, Milano, con il traffico, il dedalo di lingue e i fiumi di colori e tessuti, i clacson e le grida, le voci, i pianti, i litigi, le risa, mostrano una sapienza tanto profonda quanto leggera: sono questi gli aspetti vitalistici e caotici che l’hanno portata a scegliere – con anticipo e un’importante dose di ironia – l’ospedale dove passare gli ultimi giorni prima della morte (“con finestra su strada, non sull’interno”), fuori dal silenzio e dalla penombra, dai sussurri e dentro il mondo che tanto l’ha ispirata e nutrita.

Non è raro, quindi, ri-vedersi, rispecchiarsi e interrompere quel gioco di muri e ripari che, per necessità di salvezza, innalziamo senza ormai preavviso: così, in una sera di dicembre, le parole intatte di Vivian Lamarque possono aprire squarci nel velo di memoria e rimpianti, a raccontare la sua infanzia di figlia cosiddetta illegittima e il legame coi genitori adottivi; delle sue mamme, una di fronte all’altra, alla cassa di un cinema; come queste parole innocue ed enormi possano dare voce ai silenzi dolorosi che, a volte, non abbiamo saputo ascoltare, in quel miracolo di creazione e resurrezione che è la poesia stessa: 

“i tendoni rossi di velluto ti avvolgevano come mamme. E un giorno,

per caso, una mia mamma venne a comprare il

biglietto dall’altra, come in un film”. ( da Cinematografo)

Il Cinema e il reale, dove le immagini e l’arte si fondono con quelle della memoria e del ricordo; “come in un film” e l’epifania della realtà è dietro l’angolo che ci aspetta con le sue domande e l’impietoso desiderio di redenzione, di durata. Così Vivian Lamarque atterra e innalza e ci rende grati che, ancora e ancora, ci sia poesia a liberarci:

“come nel film Schindler’s List che Oskar Schlindler

verso la fine affranto ripete e ripete avrei potuto
salvarne di più, di più avrei potuto, perché
non l’ho fatto? perché non l’ho fatto? quanto denaro
ho sperperato e singhiozza senza darsi pace, e mentre
Itzhak Stern gli ricorda quanti ne ha salvati, lui è inconsolabile

Così a noi a volte brevi flash illuminano
senza scampo il non abbastanza fatto nella vita
che ci era stata data, il non detto né dato, in così
tanti anni mai trovato il tempo ma perché

non l’abbiamo fatto? perché non lo abbiamo detto?” 

(da L’amore da vecchia, Mondadori).

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