Arriva nelle sale cinematografiche “C’è un soffio di vita soltanto”, biopic su un transessuale deportato a Dachau

Luciano Salani, per tutti “Lucy”, ha 96 anni, ne aveva diciotto quando lo presero sotto le armi nonostante avesse esplicitamente ammesso di essere omosessuale, convinto di non potere essere arruolato.

Era un bellissimo ragazzo, per lui l’ufficiale di leva fece un’eccezione. Dopo l’8 settembre fu catturato dai tedeschi che prima lo condannarono alla fucilazione, poi avendo chiesto la grazia con una lettera indirizzata addirittura a Kesserling, lo deportarono a Dachau, dove lo misero fra gli uomini. Fortunatamente ne uscì vivo. 

“Lucy” è’ fra i più vecchi sopravvissuti al campo di sterminio nazista. Ogni anno a Natale, Capodanno e Pasqua riceve da Dachau a Bologna, dove vive, gli auguri dall’associazione che riunisce i superstiti della deportazione e che quest’anno avrebbe voluto festeggiare il 75mo anniversario della liberazione del campo, ma la pandemia da virus ha fatto rimandare la cerimonia: “Lucy” vi avrebbe partecipato volentieri. Tutto questo l’anziano Luciano, che da una vita veste abiti femminili avendo risolto con il cambio di sesso il dubbio sulla propria personalità che lo perseguitava da giovane, lo racconta davanti alla macchina da presa di due giovani registi, Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, autori di questi particolarissimo biopic girato per lo più fra le quattro mura della casa del vecchio, indomabile transessuale bolognese. E lui ricorda quando il sacerdote che doveva prepararlo alla prima comunione fece inopportune avances, da allora non è più entrato in chiesa, crescendo ha cominciato a non fare distinzione fra le femminucce e i maschietti, ha vissuto da “trans per forza” in solitudine, con i soli vicini di casa che lo aiutano nelle faccende, profondamente amareggiato e quel che è peggio senza più speranza. “A Dachau – racconta – ho dovuto trasportare con la carriola i cadaveri destinati al forno crematorio. Un orrore. Se davvero ci fosse un Dio, questo non sarebbe successo. Io sono morta allora”. 

L’obiettivo segue Lucy nella sua sofferta giornata, in camera da letto, dopo una notte insonne, in bagno a truccarsi, a tavola con i rari ospiti, gesti quotidiani inframmezzati dai ricordi, dalle fotografie in cornice degli anni che la videro inseguita dagli uomini, seducente com’era con una parrucca bionda e il seno e i fianchi ottenuti con gli ormoni, come spiega ad un amico di quei lontani trascorsi. L’ultima inquadratura del film è per “Lucy” in sedia a rotelle dinanzi cancello del campo di Dachau, sotto la beffarda scritta “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi, come i nazisti irrisero alle loro vittime. 

Com’è facile intuire, non è un film facile da vedere, ma neanche da lasciare andare, perché la rugosa, quasi centenaria “Lucy” col suo racconto di vita perduta sembra prenderti per mano e non ti lascia, da quel consumato attore che non è stato.   


Regia di Matteo BotrugnoDaniele Coluccini. Genere Documentario, – Italia2021durata 95 minuti. Uscita cinema lunedì 10 gennaio 2022 distribuito da Kimerafilm

    

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