Libri. Vita privata di una spia. Le lettere di John Le Carré

Come John le Carrè, fra un best seller e l’altro, giudicava il suo mondo La Brexit? “Un suicidio economico montato da ciarlatani”. Gli Stati Uniti? “Uno stato canaglia gestito da un egocentrico permaloso”. L’Ucraina? “Tutta colpa di Kruscev”. La Palestina? “Noi inglesi l’abbiamo promessa ad entrambi i contendenti”

Questi i lapidari giudizi espressi in una serie sterminata di lettere private da John le Carré, il prolifico scrittore inglese autore di 27 romanzi tutti bestseller, per lo più di argomento spionistico, anche perché negli anni della guerra fredda aveva collaborato con i servizi segreti britannici.

Ad iniziativa di Tim Cornwell terzo figlio della sua prima moglie, una ricca selezione di quelle lettere esce oggi in libreria per i tipi di Mondadori, (pagg. 743, euro 23,00) con un titolo invitante ma impreciso, Vita privata di una spia: sarebbe stato più giusto “Vita privata di uno scrittore” che non si è risparmiato, (suo La spia che venne dal freddo) ha posato la penna solo due settimane prima di morire quasi novantenne nel dicembre di tre anni fa, mentre stava lavorando già ad un nuovo romanzo John le Carré ha scritto per tutta la vita.

Otre ai romanzi, anche tante lettere: nel breve intervallo tra la fine del fax e l’avvento delle email, a mano o a macchina usando solo un dito, ha scritto lettere a tutti: uomini politici come la Thatcher, attori come Alec Guinness, Richard Burton ed Elisabeth Taylor, colleghi scrittori come Graham Greene, capi di Stato e di governo, oltre a parenti e amici. Migliaia di lettere nelle quali di fatto ha raccontato la sua vita.
All’anagrafe faceva Cornwell, diventato le Carré con la elle iniziale rigorosamente minuscola, è un azzeccatissimo nom de plume).

Le lettere di John le Carré, che è l’appropriato sottotitolo del libro, è un lungo, straordinario epistolario diviso fra pubblico e privato che incuriosisce non solo quando scrive degli spioni del suo tempo, a cominciare dal famoso Kim Philby, l’agente doppio al servizio dei sovietici che ingannò i servizi segreti inglesi, ma anche quando descrive le mogli (due), i figli (cinque) nipoti e pronipoti (molti di più) sparsi nel mondo, e dei quotidiani battibecchi con gli editori dei suoi libri, con i registi e gli sceneggiatori del film tratti dai suoi romanzi, con i critici, i burocrati delle cancellerie d’ambasciata, il giardiniere, i comuni lettori.

Ma quel che colpisce sono soprattutto i commenti con cui lo scrittore interviene sugli avvenimenti di cui è stato spettatore. Sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (23 giugno 2016) e l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti (9 novembre dello stesso anno) le Carrè scrisse all’amico Nicholas Shakespeare: “La Brexit? Che patetico cocktail di illusioni perdute!

Ci vergogniamo profondamente e non riusciamo ancora a credere che non ci sia modo di tornare indietro.”

Su Trump: “Fatico a credere quanto a fondo stiano per andare gli Stati Uniti, o ci siano già andati. Il nostro presunto grande alleato è sleale, vendicativo, spietato – dimenticavo narcisista – e non dobbiamo mai illuderci che abbia una natura razionale e moderata sottopelle, e non dobbiamo mai dimenticare come è arrivato al potere, la qual cosa ricorda sotto molti aspetti il nostro caro Fuhrer e lascia l’amaro in bocca”.

Novembre 2002, sulla crisi israelo-palestinese: “Jane ed io abbiamo partecipato il mese scorso alla marcia contro la guerra e spero avremo la possibilità di ripeterci prima della fine del mondo. Come siamo passati da Osama Bin Laden a Saddam Hussein è un mistero che nemmeno l’arcisofista Blair riuscirà a spiegare. O potrà spiegare. Mi rendo conto solo adesso che la guerra fredda era una guerra cristiana: il cristianesimo occidentale contro l’ortodossia orientale. Spero che qualcuno decida presto di ispezionare le nostre armi di distruzione di massa. Poi magari anche quelle israeliane e americane… …”

A Natale del 2008, rispondendo al dottor August Hanning, capo della sicurezza interna, che gli aveva scritto sul problema del terrorismo islamico in Germania, le Carré scrive: “Le cause della militanza e della rabbia islamiste, nel caso della Gran Bretagna di sicuro risalgono a tempi molto anteriori rispetto al caso della Germania. Noi inglesi siamo all’origine di gran parte dell’attuale discordia, abbiamo accettato la divisione dell’India, la creazione del Pakistan e del Bangladesh, in Iran abbiamo cospirato per far cadere Mossadeq e istallare lo Scià, ci siamo resi ridicoli a Suez e con la creazione stessa dell’Iraq in collusione con i francesi abbiamo fabbricato una bomba a orologeria.

I vincitori dimenticano ma le vittime hanno la memoria molto lunga e noi abbiamo pagato per questo e pagheremo per questo proprio come in Irlanda…Non si possono affrontare i sintomi senza attaccare la malattia stessa; non decimando la popolazione della striscia di Gaza ma con negoziati all’insegna di creatività e fermezza”.

Putin non aveva ancora attaccato l’Ucraina, e già le Carré nell’aprile del 2015 scriveva a Michail Lyubimov, che sarebbe diventato suo amico dopo essere stato come funzionario del KGB espulso dalla Gran Bretagna per aver tentato di reclutare un addetto ai codici cifrati: “Strano come noi vecchie spie finiamo a scrivere libri e a fare film. Immagino che ci tengano lontani dalle strade. Come forse lei, non riesco a capire la situazione dell’Ucraina. Kruscev in una certa misura ha lasciato perdere e da allora la questione sembra essere rimasta in sospeso”.

John le Carré è stato anche ferocissimo un critico cinematografico: di Stanley Kubrick nel settembre del 1999 scrive a John Calley, a capo di uno studio di Hollywood e suo buon amico, “solo per farti sapere che ieri sera abbiamo visto Eyes Wide Shut e lo abbiamo trovato orribile: non di cattivo gusto, non una pessima recitazione o una brutta sceneggiatura, solo brutto e noioso e profondamente sconcertante per coloro che hanno apprezzato lui e il suo lavoro. Quindi è solo in quel senso, sono felice che non sia sopravvissuto. Per lo meno lo possiamo considerare come l’opera sbagliata di un grande regista alla fine della vita e lasciarlo perdere”.

C’è da dire che per quello che sarebbe stato il suo ultimo film, Kubrick aveva proposto a le Carré di adattare per lo schermo Traumnovelle, (Doppio sogno), il racconto di Arthur Schnitzler al quale si era ispirato per il film di cui sono protagonisti Tom Cruise e Nicole Kidman. Poi il contratto sfumò e le Carrè, come si vede, a posteriori maliziosamente se ne compiace. Pochi mesi prima, confidandosi ancora con John Calley, altre stroncature da critico letterario: “Ho letto Un uomo vero di Tom Wolfe e l’ho trovato eccessivamente artificioso e vuoto. Molto triste. Ho letto Amsterdam di McEwan: orribile”.


Le Carré polemico con tutti, soprattutto con i “colleghi” del mondo dello spionaggio, in particolare la CIA: “Si sono divertiti sparando su di me come pazzi nel loro periodico interno. Un paio di mesi fa uno stizzito apprezzamento per il mio lavoro e adesso un attacco al vetriolo alla mia ignoranza (e in questo hanno ragione, è assoluta) dell’intercettazione dei segnali. Non è bellissimo? Queste sono proprio le persone che tratterebbero L’amante di Lady Chatterley come un manuale sui rapporti datore di lavoro-dipendente o su come gestire i guardiacaccia…”.

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