Libri. “Lenin. La vita e la rivoluzione” di Victor Sebestyen

A cento anni dalla morte del padre della rivoluzione d’ottobre. Da Lenin a Putin, la Russia dopo lo zar

Cento anni fa moriva in Russia Il’ic Ul’ianov, detto Lenin, il padre della rivoluzione d’ottobre, uno dei protagonisti del Novecento. Un libro appena uscito ne ricorda la vita e l’azione politica e rievoca parole entrate nella storia: zarismo, marxismo, leninismo, stalinismo, comunismo, e l’ultimo terribile neologismo, il “putinismo”.

In rapidissima sintesi i protagonisti: nei primi anni del ventesimo secolo Nicola II, zar di tutte le Russie, che non vuole e soprattutto non sa regnare, sta mettendo a rischio la dinastia dei Romanov che vanta trecento anni di potere.

Carlo Marx, filosofo tedesco, la cui casa natale ancora oggi attira file di turisti nella elegante città romana di Treviri, oggi Trier, a pochi chilometri dal confine con la Lorena, sta mettendo a punto sulla carta i principi della rivoluzione che verrà ad iniziativa di altri.

Il russo Vladimir Il’ic Ul’janov, detto Lenin, si abbevera al suo credo e, più concretamente, da caparbio bolscevico prepara la rivoluzione che un giorno farà. La sogna da più di dieci anni, fin da giovane, e più volte ha temuto di fallire lo scopo della sua vita.  E dopo un susseguirsi di eventi che la storia annovera fra i maggiori del secolo era arrivato il fatidico 25 ottobre del 1917.

Sulla scena della storia, in ordine di entrata, ieri e l’altro ieri, ecco Stalin, Malenkov, Krusciov, Breznev, Andropov, Cernenko, Gorbaciov, oggi Vladimir Putin, che di tutti gli “ismi” che lo hanno preceduto sotto le cupole del Cremlino ha fatto un solo boccone e come in un incredibile gioco dell’oca ha fatto tornare la Russia alla prima casella della storia, ai tempi di quel Nicola II che per la sua politica assolutista ebbe la famiglia massacrata.

Oggi, l’occasione di parlarne, partendo dallo zar e arrivando a Putin, è un libro di 550 pagine che Victor Sebestyen, giornalista e storico ungherese, ha scritto ad un secolo dalla rivoluzione d’ottobre e che la Bur della Rizzoli – Corriere della sera ripubblica oggi, a cento anni dalla nascita del rivoluzionario sovietico, in una bella edizione oltretutto economica: Lenin. La vita e la rivoluzione (euro 12,90). 

     Un libro che nella biblioteca di chi ama tenersi non solo aggiornato sui fatti del mondo (e non si contenta di telegiornali) ma vuole anche approfondire personaggi e avvenimenti entrati nella storia, segue idealmente la monumentale biografia Putin. Una vita, il suo tempo, lunga il doppio, mille pagine (euro 34,00) che il giornalista inglese Philip Short ha pubblicato di recente con Marsilio (e di cui abbiamo già scritto per Dazebao)

Lenin, pseudonimo di Il’ic Ul’ianov, era nato in un piccolo centro della sterminata provincia russa, il 22 aprile 1870 da una famiglia borghese, suo nonno era ebreo, ma questo particolare fu tenuto nascosto in tutte le biografie ufficiali fino al giorno della caduta dell’Unione Sovietica. 

E’ morto a 54 anni, il 21 gennaio 1924, un secolo fa. A differenza dei milioni di russi trucidati dai regimi succedutisi dallo zarismo al bolscevismo al comunismo, Lenin è morto di malattia nel suo letto avendo accanto la moglie Nadja. Il suo corpo imbalsamato è tuttora oggetto di culto di milioni di russi che si mettono in coda per dargli un fuggevole sguardo nel mausoleo sulla piazza Rossa. E’ così da cent’anni e chissà a quanto ancora durerà questo macabro rituale voluto da Stalin, che nell’occasione ordinò di chiamare Leningrado la città che era già stata Pietroburgo e che lo zar trovando quel nome troppo tedesco aveva cambiato in Pietrogrado, e che oggi è tornata San Pietroburgo. 

         Quando morì Stalin, all’antica città di Caricyn  fu cambiato il nome in Stalingrado, e quando Kruscev avviò nel 1961 il processo di destalinizzazione dell’Unione Sovietica, la città cambiò ancora una volta nome: oggi si chiama Volgograd dal nome del grande fiume Volga sulle cui rive era stata fondata nel 1589. Decisamente, da quelle parti, il culto della personalità è duro a morire. A quando una Putingrado? 

Anche per questo sono importanti le biografie di Lenin e di Putin: sono due libri sulla Russia di ieri e di oggi che fanno riflettere su quanto è finora accaduto dalla rivoluzione d’ottobre del 1917, un evento lungamente preparato da Lenin, fino all’odierno presunto zar che sta minacciando il mondo con il suo spasmodico sogno di grandezza. E c’è da chiedersi: ma i governanti che hanno in mano le sorti del proprio paese e tutti insieme il destino del mondo (Lenin non aveva la bomba atomica, Putin si) hanno letto certi libri che potrebbero illuminarli?

        Lenin leggeva moltissimo e scriveva in proporzione, di Putin non si conoscono analoghe referenze, non sembra abbia scritto di suo pugno alcunché di rilevante, parla poco e soprattutto di armi, di guerra, di supremazia, di potere e il suo popolo, esattamente come accadeva ai tempi dello zar, non sa quasi nulla di quello che succede al mondo: nella sua Russia del ventunesimo secolo la stampa è imbavagliata, i dissidenti spediti in Siberia, (vedi  Navalny) la sua permanenza al vertice del paese garantita da elezioni truccate. Putin sta al potere da più di vent’anni, ha cambiato la Costituzione per rimanerci altri venti. 

       Tutte cose già fatte dai suoi predecessori, primo fra tutti lo zar, quello vero, ai primi del secolo scorso e che ha pagato con la vita l’incapacità di capire che il mondo stava cambiando. Al punto che, quando un pacifico corteo aperto da un suo grande ritratto si avvicinò al suo palazzo d’inverno con la richiesta di intervenire contro le pessime condizioni di vita imposte a contadini e operai dai padroni sfruttatori, il sovrano, invece di ricevere una delegazione e ascoltarne le ragioni, ordinò di sparare sulla folla, facendo molti morti e segnando per sempre il destino dei Romanov.

       D’altronde, il giorno della sua ascesa al trono, il 19 ottobre 1894, in una lettera al cugino Alexander aveva scritto: “Che succederà a me e a tutta la Russia? Non sono pronto per essere uno zar. Non l’ho mai voluto diventare. Non so nulla del mestiere di governare. Non so come portare a termine i miei compiti”.

Anni dopo, a rivoluzione compiuta, ricordando quei giorni, Lenin se ne uscì con forse l’unica battuta di spirito che gli si riconosce: “Nicola II avrebbe dovuto ricevere la più alta onorificenza dell’Unione Sovietica, l’Ordine della bandiera rossa, per i servizi resi alla Rivoluzione”. Sempre caustico con i compagni di lotta non meno che con gli avversari, Lenin rispondeva per le rime a chi gli rinfacciava di essere ricorso perfino alle rapine in banca pur di finanziare il partito: “Non si fa la rivoluzione indossando i guanti bianchi”.

Il libro di Sebestyen che lo racconta quasi giorno per giorno si chiude con un’amara constatazione: “A un secolo di distanza Lenin viene ancora sfruttato da una nuova stirpe di autocrati ultranazionalisti che fa volentieri a meno del comunismo, ma continua a venerarlo come uomo forte della gloriosa storia russa”. Del resto, avete mai sentito Putin pronunciare la parola “comunismo”, lui che pure fa spesso sfoggio di vecchi slogan come quando definisce l’Ucraina per giustificarne l’invasione un “paese da dove cacciare i nazisti”? Questo libro su Lenin sembra proprio dedicato a lui, l’attuale presidente della Confederazione Russa, che con il padre della rivoluzione d’Ottobre non ha solo in comune due delle cinque lettere del nome ma anche una sanguinaria concezione del potere di cui renderà un giorno conto, se non alla propria coscienza, certamente alla storia.

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