“Non vogliamo essere dimenticate”: un libro per combattere gli abusi sulle donne afghane vittime dei Talebani

“Non vogliamo essere dimenticate”, edito da Licosia, è il titolo del racconto scritto dalla prof. Laura Guercio, esponente del comitato dell’“Universities Network for Children in Armed Conflict” (UNETCHAC) e presentato l’11 dicembre presso la “Comunità Cristiana di Base di San Paolo”, in un’iniziativa solidale per raccogliere fondi a favore delle rifugiate afghane.

Un titolo che racchiude in sé il disperato appello delle donne afghane, che con il ritorno dei Talebani al potere, il 15 agosto scorso, si sono ritrovate nuovamente deprivate dei diritti umani e politici, indietro di 20 anni. Ed è di questo disagio che racconta il libro, scritto sulla base delle emozioni e sensazioni che l’autrice desume dai dialoghi avvenuti telematicamente con cinque afghane protette dall’anonimato, che forniscono una testimonianza ideale della disperazione e dell’impotenza in cui si ritrovano queste donne, che costituivano la futura classe dirigente di un Paese ormai alla deriva. 

Alla presentazione, moderata dal giornalista Massimiliano Gazzé, presidente del “Comitée Européen des Journalistes”, hanno aderito anche due rappresentati delle istituzioni: la delegata del neosindaco di Roma Barbara Funari e Maya Vetri, assessora alle Politiche Culturali dell’VIII municipio, entrambe «favorevoli a un impegno attivo del territorio nel sostegno e formazione delle giovani rifugiate, tramite borse di studi, corsi di lingua e di inserimento al lavoro, in un’ottica di inclusione nella Capitale». Non sono mancate, inoltre, le testimonianze delle vere protagoniste: le donne afghane, qui rappresentate dalla mediatrice culturale Nazifa Mersa Hussein, che racconta il suo impegno nell’ambito del progetto dell’ UNETCHAC, aiutando attivamente sia le giovani donne che le più adulte a ricominciare a studiare, a inserirsi nel tessuto sociale del Paese ospitante. Racconta, invece, con voce rotta dalla commozione, la grave situazione delle donne “prigioniere” in Afghanistan: «Un paese dilaniato dalla guerra, dove prima erano le donne a mantenere la famiglia in assenza degli uomini: al fronte o disoccupati o in preda all’oppio; ormai costrette a rimanere inermi nei confronti dei propri figli, che muoiono di fame. Brillanti studentesse universitarie, medici, avvocatesse e giornaliste realizzate alle quali viene impedito, pena la vita, di lavorare, di concludere gli studi, di uscire di casa senza il burka, di fare sport e persino di cantare: non più esseri umani con diritti civili, ma prigioniere della loro stesse casa». Incalza la professoressa Guercio, ribadendo il grande lavoro svolto da Nazifa, che sin dal 15 agosto con la presa di Kabul da parte dei talebani, si è alacremente impegnata 24 ore su 24, per accogliere le sue connazionali e trovarle una sistemazione in stretta collaborazione con le associazioni preposte. 

Un’altra testimonianza è quella di un’attivista afghana la cui identità non è nota, che tramite video fa sentire la propria voce: «inneggiando alla resilienza delle donne che continueranno a lottare per la democrazia e ribadendo la disillusione, sopraggiunta in seguito all’accordo di Doha e all’evacuazione degli Stati Uniti l’11 settembre 2021, responsabili di aver dimenticato la promessa di esportare il modello democratico e combattere il terrorismo; ormai sole in Paese senza più risorse e possibilità». Su questa stessa scia è la posizione della dott. Antonella Garofalo, rappresentante del “Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane” (Cisda) che propone ai Paesi occidentali interessati a sostenere il progetto umanitario, tre capisaldi fondamentali: conoscere, ricordare e accogliere e infine resistere. «Conoscere la storia, affinché non si ripeta questo dramma nuovamente; ricordarsi e dunque aprire gli occhi su quelle politiche economiche che causano le guerre, per arricchire l’industria delle armi e i Paesi esportatori; e poi accogliere: ossia recepire senza respingimenti i flussi migratori concedendo i visti, bloccando così il mercato illegale dei trafficanti umani e infine resistere: essere resilienti anche di fronte alle indicibili violenze dei talebani costituendo un fronte comune, a Roma così come nelle altre Capitali europee». Un evento questo dell’11 dicembre che si prefigge di celebrare “La Giornata mondiale dei diritti umani” il 10 dicembre: una data scelta ad hoc dalla rete che di questi diritti inalienabili si fa portavoce – l’“Universities Network for Children in Armed Conflict” – fondata un anno fa da un consorzio di 50 università internazionali, impegnate in prima linea per la salvaguardia dei bambini, vittime di violenze nei conflitti armati e ora solidale con le giovani afghane.  Una riflessione, dunque, è espressa a gran voce dall’autrice, la prof. Laura Guercio: «Che umanità vogliamo essere: questi diritti sono ancora tali o rappresentano per alcuni dei privilegi? » Un invito a scuotere le coscienze dimostrando un’autentica solidarietà nei confronti di tutte queste donne, così coraggiose e determinate, le cui voci hanno dato origine a questo libro costituendo una rara testimonianza di vite spezzate “da non dimenticare”. 

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