HIV e antiretrovirali in gravidanza: quale il rischio di effetti teratogeni?

Presentati i risultati di uno studio francese su più di tredicimila bambini

 

ROMA – L’assunzione di una terapia antiretrovirale (ART) a base di efavirenz da parte di una donna sieropositiva incinta aumenta il rischio di difetti neurologici nel nascituro, stando ai risultati di uno studio osservazionale francese su 13.124 bambini presentato all’ultima Conferenza sui Retrovirus e le Infezioni Opportunistiche, svoltosi ad Altanta.

Secondo quanto riferito dalla prima autrice Jeanne Sibiude, dell’Hopital Louis Mourier di Colombes,lo studi ha evidenziato un’associazione significativa tra l’esposizione a efavirenz nel primo trimestre di gravidanza e difetti neurologici alla nascita, con un aumento del rischio più che triplicato.

L’autrice ha spiegato che nella coorte studiata (la French Perinatal Cohort, EPF) 372 bambini sono stati esposti a efavirenz nei primi tre mesi di gestazione e non si è osservata nessuna associazione tra difetti di nascita complessivi ed esposizione all’antiretrovirale. “Tuttavia, considerando i difetti alla nascita per sistemi e organi, si è vista un’associazione specifica e statisticamente significativa con i difetti neurologici alla nascita’ ha detto la Sibiude. Tra i difetti riscontrati, un caso di pachigiria, un’agenesia del corpo calloso, un caso di idrocefalo e una cisti cerebrale.

Secondo quanto riportato da Pharmastar in conferenza stampa la Sibiude ha spiegato che un’analisi delle nascite dal 1994 al 2010 ha mostrato un aumento di 2,5 volte del rischio di difetti cardiaci congeniti se la madre era in terapia con zidovudina (P <0,01), nonché una associazione significativa tra uso di zidovudina e difetti alla nascita complessivi, con un aumento di 1,2 volte del rischio (P = 0,002) tra i 3.267 bambini esposti al farmaco nel primo trimestre. L’associazione con i difetti cardiaci ha riguardato soprattutto difetti del setto ventricolare, ed è rimasta significativa con ognuna delle due classificazioni utilizzate (EUROCAT e MACDP) e nelle analisi di sensibilità, ha riferito la ricercatrice.

L’esposizione in utero a didanosina è risultata, invece, associata a difetti della testa e del collo. Nei 927 bambini esposti a didanosina nel primo trimestre di gravidanza, l’aumento del rischio di tali difetti è risultato di 1,93 volte (P < 0,05).
Anche l’uso di lamivudina e indinavir nel primo trimestre è apparso associato a difetti alla nascita, ma l’associazione di lamivudina ha riguardato prevalentemente difetti muscolo-scheletrici minori della testa e del collo, mentre idinavir non è risultato associato a nessun difetto specifico nell’analisi multivariata.

Nei 3.772 bambini esposti in utero alla lamivudina nel primo trimestre, l’uso di questo antiretrovirale si è associato a un aumento di 1,96 volte del rischio di difetti della testa e del collo (P = 0.03) e di 1,40 volte di difetti muscolo-scheletrici (P = 0,04).
Nei 350 neonati esposti durante la gestazione a indinavir si è evidenziato un aumento del rischio complessivo di difetti alla nascita di 1,52
volte (P = 0.04), ma senza un pattern specifico

Da quest’analisi esce, invece, scagionato elfinavir, che in altri studi era stato segnalato come potenzialmente associato ai difetti nei nascituri di madri esposte al farmaco durante la gravidanza.

Tuttavia, ha sottolineato l’autrice, “il potenziale rischio di difetti alla nascita deve essere soppesato contro il successo importante delle attuali strategie di prevenzione della trasmissione madre-figlio del virus HIV”, che, ha aggiunto, hanno avuto un successo spettacolare, riducendo negli ultimi anni il tasso di trasmissione a meno dell’1% nei Paesi industrializzati.”

La ANRS-EPF French Perinatal Cohort, ha spiegato la Sibiude, è una coorte in cui sono inserite prospetticamente dal 1986 donne incinte sieropositive in cura presso 90 centri sparsi in tutta la Francia. I bambini non infetti sono seguiti fino a 2 anni di età, mentre quelli infetti fino a 18 anni e la copertura è stimata in circa il 70% delle donne sieropositive francesi.

Secondo Elaine Abrams, epidemiologa e pediatra della Columbia University di New York, questo studio non è destinato a cambiare radicalmente la pratica clinica. La specialista ha detto, tuttavia, che se si trovasse di fronte a una paziente sieropositiva in terapia con efavirenz che desidera un figlio, le farebbe cambiare farmaco. “Se una donna che prende efavirenz resta incinta, ora che si scopre la gravidanza il momento critico è già passato” ha avvertito l’esperta e ha aggiunto che in quest’ultimo caso sia le linee guida Usa sia quelle europee suggeriscono di mantenere le pazienti in terapia con il regime a base di efavirenz.

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